Wayward Pines (Pilot)
Il pilot di Wayward Pines ci presenta una delirante comunità montana dell'Idaho, parente stretta della confinante, e ben più nota, Twin Peaks
Wilhelm, cosa è mai per il nostro cuore il mondo senza l’amore? È come una lanterna magica senza luce! Ma appena tu vi introduci la lampada, le più belle immagini compaiono sulla parete bianca... - Goethe
Silvano Agosti, prima della proiezione di Viale del Tramonto presso il suo magnifico Azzurro Scipioni, sermoneggiava sull’ovvio, cioè che il cinema sarebbe magico, la TV magnetica, nascendo la diversità da un differente punto di vista, per cui lo spettatore resta piccolo come fanciullo davanti allo schermo cinematografico infinitamente grande, domina invece e si riappropria di un punto di vista tolemaico al cospetto del monitor domestico, in progressiva espansione ma comunque ridotto intra moenia. Considerazione ovvia, dicevamo, eppure sempre foriera di riflessioni autoriali, come questa nuova serie della Fox, Wayward Pines, prodotta da Shyamalan e da lui diretta nel suo primo episodio, il pilota, disponibile in anteprima sulla Rete prima della messa in onda televisiva.
Da più parti viene scritto che trattasi di spin off apocrifo di Twin Peaks, già nelle intenzioni di Blake Crouch, l’autore del romanzo da cui la serie è tratta, e poi successivamente nelle scelte registiche e di scrittura che cominciano ad affiorare. Wayward Pines è una comunità montana nello sperduto Idaho, presso la quale Matt Dillon agente segreto si ritrova isolato incidentalmente, cioè con evidenti ferite e tumefazioni di natura traumatica, e senza cognizione di causa, cioè in preda ad una violenta amnesia, o ad uno stato di allucinazione progressiva. Cerca i colleghi scomparsi? Cerca l’amore? Cerca il ritorno a casa? La prima immagine a tutto schermo – grande? Piccolo? – è del suo occhio che si apre sulla visione che scaturisce, che è tutta ribaltata, come una lanterna magica di Athanasius Kircher: ribaltato il corpo, gli alberi, i riflessi. È perciò immediatamente evidente la sfida prometeica di Shyamalan, ricondurre la tv alla stessa dimensione archetipica, magica appunto, del cinema. Per fare questo si affida ad una cast che è un parterre de roi hollywoodiano, oltre a Dillon c’è Melissa Leo, Toby Jones, Carla Cugino la rediviva Juliette Lewis. Che sono tutti personaggi più che eccentrici, reali come la materia di cui sono fatti i sogni (o gli incubi), non è ancora dato sapere quale di essi sia spirito maligno e quale benigno, certo è che sono derivati dall’immaginario di Lynch ma affini anche ad altro, penso alla serie dei Cohen, o a Prisoners, o a quel che più vi aggrada. E’ invero sicuramente derivata da Twin Peaks l’origine del movimento, perché Dillon si ritrova sulle rive di un corso d’acqua come mille anni fa successe alla povera Laura Palmer, ma il fatto che lui si ri-animi, almeno apparentemente, costituisce una differenza semantica di importanza capitale. Dillon vaga come un ambulante – un walker, un non morto – cade svenuto più volte ed ogni volta riemerge in realtà differenti dentro Wayward Pines, tutte invertite – ribaltate - rispetto a come dovrebbero essere, tutte traiettorie possibili per una narrazione che vivrà nell’arco di 10 episodi della durata di 43 minuti ciascuna. Alla fine della prima puntata, per una serie di fortunate coincidenze associative, si ha l’impressione di avere assistito ad un’avventura di Dylan Dog l’indagatore dell’incubo - Dillon Dog? -, oppure ad una novellizzazione televisiva del sempiterno Truman Show, anch’esso riflessione ribaltata della lotta tra cinema e tv della (ir)realtà, tanti e tali sono gli elementi scenici che fanno di Wayward Pines un set di cartapesta circoscritto e del tutto autoreferenziale. Aspettiamo con curiosità il secondo episodio, per capire se il mago Shyamalan vincerà riuscendo a farci credere di essere in sala, oppure se soccomberà schiacciato dalla pesantezza incredula dei nostri divani.