Zemeckis / The Walk - Credere nel vuoto
Ovvero quando il cinema vince la gravità e redime la Storia: il nostro speciale sul nuovo flight di Robert Zemeckis.
L’abbiamo chiamato credere nel vuoto, ma potrebbe essere anche cadere nel vuoto, cedere al vuoto, o al contrario vincere il vuoto, colmarlo, addomesticarlo. O, più semplicemente, viverlo. Il nostro speciale di copertina doveva essere necessariamente dedicato a The Walk, la nuova fatica firmata Robert Zemeckis.
Perché? Perché siamo da sempre attratti da tutte quelle immagini che ci mettono in pericolo, che ci fanno sentire fragili, impotenti, precari, pronti a scivolare nelle gole numeriche del digitale. Si può forse parlare di un cinema antigravitazionale, esaltando l’esperienza abissale della caduta e la leggerezza come nuova condizione estatica. Del resto, due anni fa alla vista di Gravity abbiamo provato un grandioso senso di vertigine mentre fluttuavamo con Sandra Bullock nello spazio. Ciò che veniva a mancare era ogni tipo di supporto. Poi, guardando All is Lost, abbiamo ritrovato il cosmo di Cuarón sott’acqua e, con febbrile, incauta eccitazione, siamo sprofondati con Robert Redford nelle oscurità dell’oceano.
Quello che ci interessa è la profondità, non solo di campo ma anche di sguardo. La nostra, del resto, è una questione di equilibrio: l’immagine di Philippe Petit che cammina su un cavo d’acciaio tra le Torri Gemelle è uno dei momenti più profondamente cinematografici della Storia di New York. Far cinema a partire da quell’istante performativo significa dar ragione a un sogno, che è quello che ossessiona da decenni Robert Zemeckis. Il sogno che il cinema possa superare i formati, vincere la Storia, oltrepassare orizzontali e verticali e sconfiggere, una volta per tutte, la forza di gravità. Forse, almeno al cinema, Icaro ce l’ha fatta.
Proviamo a parlare proprio di questo nei tre pezzi che costituiscono la nostra copertina. Partendo da un cortocircuito che collega immediatamente i finali di The Walk e Gangs of New York, Matteo Berardini incrocia fenomeni urbanistici e sguardi cinematografici, con lo spettro dell’11 Settembre a far da catalizzatore. Giorgio Sedona, invece, scrive dell’azione performativa di Philippe Petit, alla ricerca del punto di congiunzione tra sogno e Storia, tra impossibile e possibile. Il filo di Petit diviene allora il filo della speranza, emblema stesso del cinema – inteso come miraggio, terra immaginifica, sesto continente. Infine, il sottoscritto, si riferisce a The Walk come a quel film dove l’immagine cerca ossessivamente un suo retrofondo impossibile: una profondità 3D dove si rischia sempre di cadere. Eppure, alla fine, se noi cadiamo le Torri Gemelle sono ancora in piedi. Almeno al cinema…grazie al cinema.
Pronti a un nuovo flight dell’immaginario americano, vi auguriamo buona lettura!