C’è sempre stata, nel cinema di Dumont, l’idea che qualcosa all’interno del mondo fosse in continuo contrasto. Una forza primigenia in grado di muovere i personaggi all’interno del quadro nel tentativo di spingerli verso altrove, verso la meraviglia aldilà dell’orizzonte.
Bruno Dumont realizza il suo film più feroce e spiazzante, in una California anti-hollywoodiana dove la bestialità umana diventa l'unico referente visivo.
Al quarto lungometraggio, Bruno Dumont rappresenta una guerra dell'animo procedendo per spostamenti antiprogressivi, per sineddochi, attraverso una svuotata, insensata grammatica della condizione umana che prepara la strada per "Hors Satan".
Ruvido e minimalista, Hadewijch non è propriamente un film sulla fede, non è indagine sociale o fotografia storico-politica del reale, ma piuttosto è la rappresentazione di un sentimento bruciante, assoluto e imprescindibile
Nel secondo lungometraggio di Bruno Dumont, l'umanità inquieta del regista trova ulteriore forma in un'impossibilità lancinante, come un urlo soffocato dal transito di un treno.
L’esordio di Bruno Dumont spacca il cinema degli anni Novanta: tra Bresson e Pialat, tra piani fissi e paesaggi interiori, “La vie de Jésus” anticipa il razzismo del nuovo millennio e lancia un grande autore, tanto cristallino quanto sconcertante.