
Il cinema può produrre strane associazioni in chi lo guarda: Accident (Yi ngoi, 2009) dell’hongkonghese Cheang Pou-Soi, ad esempio, per certi versi ricorda un film diversissimo di un regista assai lontano dal cineasta asiatico. Ma tant’è…
Chi ha avuto la buona sorte di vedere Alps (Alpeis, 2011) di Yorgos Lanthimos ? in competizione l’anno scorso a Venezia ? rammenterà che vi si racconta di un gruppo di bizzarri attori in grado di offrire un servizio, per così dire, insolito: su richiesta di amici, familiari, colleghi e amanti di persone morte, si sostituiscono ai defunti e ripropongono, insieme ai committenti paganti, situazioni e momenti di vita passata. Mescolanza di verità e finzione, rappresentazione della irrealtà. Anche in Accident, sempre in Concorso a Venezia, ma tre anni fa, ci sono quattro individui (qui tre uomini e una donna): Brain, Uncle, Fatty e Woman, anch’essi in un certo senso attori ? il primo, la mente del gruppo, è soprattutto il regista ? di messe in scena, specialisti in omicidi su commissione ben retribuiti e puntigliosamente camuffati da spettacolari incidenti.
A ben vedere, entrambi i gruppi praticano la tecnica, più che l’arte, della sostituzione, la finzione, l’artificio, ma lo fanno da prospettive e posizioni totalmente opposte: i protagonisti di Lanthimos riproducono frammenti di vita di chi non c’è più, estromettono la morte; quelli del regista di Hong Kong allestiscono il caso e uccidono, producono morte. Entrambi i gruppi agiscono come se fossero su un set predisposto negli spazi e nei tempi della banale quotidianità: un’opaca e quasi televisiva cornice da reality nel film greco, mentre nell’altro un set per alcuni aspetti più cinematografico, composito e mediato e, per altri virtuale, mobile e mutevole quasi come un videogame.
Distanti nel cosa e nel come mostrare, raccontare, far vedere, stilisticamente inavvicinabili in quanto inscritti nella poetica dei rispettivi autori (e dentro i canoni sempre più sfumati e fluidi del genere per quanto riguarda Accident), i due sono entrambi film teorici, autoriflessivi. Lanthimos lavora di più sull’immagine e realizza un raggelante saggio di meta-cinema nonché un impietoso referto sulla debordiana società dello spettacolo; quello di Cheang Pou-Soi è invece un efficace esercizio di (ri)lettura più localizzata, circoscritta soprattutto a quella zona creativamente fertile della cinematografia hongkonghese contemporanea spesso targata Milkyway, la società di Johnnie To specializzata in noir e produttrice del film (alcuni suoi membri hanno anche collaborato alla sceneggiatura).
La messa in scena è una sorta di cerimonia, un rito che prevede delle regole ben precise; è un gioco, un congegno che necessita di ingranaggi perfettamente funzionanti per potersi svolgere in modo corretto. Qualcosa si spezza nell’ordine inquietante di Alps (la ribellione, votata alla disfatta, di un’attrice ai dogmi di un “ruolo” da eseguire azzerando ogni traccia di emozione e umanità), ma è un inceppo solo apparente perché non sono concesse strade alternative, altre possibilità oltre le trame di esistenze certificate. In Accident invece ad un certo punto lo spettacolo si incrina, o meglio cambia definitivamente: Fatty viene investito da un autobus non appena finito il “lavoro” e Brain inizia a credere ? sprofondando progressivamente in una spirale di paranoia ? di essere al centro di un complotto architettato da un misterioso agente assicurativo per eliminarlo; il sospetto di un’altra messa in scena di cui non si è più artefici ma vittime diviene sempre più assillante, la gamma delle ambiguità si dilata e alla fine, troppo tardi, arriva il rinsavimento.
Con la storia muta anche il film, il suo corpo abbandona ogni presunta linearità e si innerva in nuove, dispersive direzioni. Cheang Pou-Soi, cineasta capace e versatile non estraneo alla spudoratezza stilistica (Dog Bite Dog, Home Sweet Home…) ma comunque incostante, si alimenta del miglior noir made in Hong Kong ? con un occhio di riguardo a Johnnie To ? e al contempo lo depura, snellendo il tasso di violenza e realizzando un lavoro di notevole eleganza formale, che sfiora la freddezza e resta forse un po’ trattenuto qua e là pur essendo dotato di buon ritmo; un’opera senza dubbio convincente, soprattutto nel descrivere il crollo psicologico, la cadute delle certezze di Brain. Film sulla inesistenza del caso, sulla confusione tra realtà e irrealtà, Accident si apre con la morte di una donna che schizza fuori dalla sua auto e sulla morte si chiude. Ma stavolta nessun “incidente”, nessuno spettacolo, nessuna coreografia. Solo ora, sembra essere tutto vero.