Codice criminale
L'esordio alla regia di Adam Smith è un crime movie che costruisce un buon percorso ma che collassa in un finale che non ha il coraggio di osare.
La comunità in cui vivono Chad (Michael Fassbender), il padre Colby (Brendan Gleeson) ed un ridotto gruppo di nomadi anglosassoni è un the village con regole proprie ed una moralità tutta particolare, che alterna concitati inseguimenti a lezioni casalinghe e messe private. Chad, stanco dei furti occasionali e della sua vita ai margini, vorrebbe garantire ai figli un’esistenza migliore. Ma, per farlo, deve ottenere il permesso di Colby, capofamiglia convinto che la società sia un mostro ingovernabile dalla quale è meglio stare il più lontano possibile.
Codice criminale, o meglio, per entrare da subito nel discorso filmico, Trespass against us. Il rapporto tra Chad e Colby è una questione di debiti e di sangue, di legami e volontà. Il titolo originale del film cita un verso del Padre Nostro e scavalca, in tal modo, l’involucro da crime-action movie che suggerisce, invece, la traduzione italiana. Il cuore del film d’esordio di Adam Smith risiede in una delle tematiche più inflazionate di cinema e letteratura: la tensione che nasce tra padre e figlio quando il secondo termine contraddice le decisioni del primo. Finalità della fuga nella società civile? L’interruzione del virus che si diffonde di generazione in generazione che, se da un lato garantisce la coesione del nucleo familiare, dall’altro inficia la forza dell’individualità dei suoi singoli membri. Colby è una figura divina che si arroga il diritto di dire che la Terra è piatta e di impedire ai più piccoli di andare a scuola, sulla base di quel “debito di sangue” che è dovuto dalle nuove alle vecchie leve, a maggior ragione in un ambito criminale deciso a non dismettere il proprio abito.
Nonostante il film inizi con un inseguimento e termini con un balzo nel vuoto, Smith sviluppa il racconto optando per un numero esiguo di scene che innalzano la tensione (rapine e corse sfrenate) e scegliendo di azzerare quanto più possibile i contenuti ad alto tasso di adrenalina. Il risultato è la delineazione di un tessuto narrativo che basa la propria forza su una scrittura scarna e minimalista: fattore che dona a Codice criminale una parvenza non convenzionale. La tentazione di costruire un prodotto segnato da un maggior approccio documentaristico era, indubbiamente, forte. La Brexit ha innalzato le staccionate attorno al Regno Unito ma Smith ha comunque preferito ancorarsi all’appiglio sicuro del cinema di genere, ridotto all’osso, ma in grado di basare il proprio sviluppo su un canovaccio noto al grande pubblico.
Buona parte della riuscita del film è dovuta alle ottime performance attoriali di Brendan Gleeson e Michael Fassbender. Il secondo, in modo particolare, si conferma uno dei migliori attori fisici della sua generazione, in grado di mettere il corpo al servizio del racconto. Peccato soltanto per un finale che agisce come una strozzatura ed evita al materiale potenzialmente eversivo, sviluppato fino a quel momento, di esplodere. Nella sua struttura ben assestata, Codice criminale somiglia ad un ciclista che compie un buon percorso ma che arriva al finale privo di forze. Una vera disgrazia.