Alfredo Bini, ospite inatteso
La storia di una carriera cinematografica incentrata sul coraggio produttivo. Alfredo Bini, ospite inatteso, necessario e rimpianto
Alfredo Bini, un nome, un uomo e un mestiere: il produttore. Nell’anniversario dei quarant’anni dalla morte di Pier Paolo Pasolini, autore lanciato cinematograficamente dallo stesso Bini, producendo Accattone ed altri film del regista bolognese, Simone Isola, regista e produttore della Kimera Film – casa di produzione romana del grande ed ultimo film di Caligari – ripercorre la storia di uno dei più importanti e temerari produttori del XX secolo. Ci si chiede, ospite inatteso, ma da chi? Risposta: come si evince dall’intervista, Bini, nel 2001 presso il Motel Magic di Montalto di Castro, incontra Giuseppe Simonelli, gestore dell’attività alberghiera che lo ospiterà. Nasce subito un’amicizia costruita sul rispetto reciproco. Simonelli sostiene Bini che oramai anziano sta vivendo delle difficoltà economiche. Pensionante prima per due notte, poi per un tempo indeterminato, finché lo stesso Simonelli fa costruire una casa dove Bini risiederà fino alla sua morte, avvenuta ad Ottobre del 2010 nell’ospedale di Tarquinia. Un punto di partenza ed insieme un punto di arrivo documentario, l’esperienza umana condivisa da Bini e Simonelli nell’ultima decade di vita del primo.
La storia di Bini produttore si unisce al racconto di Bini uomo, narrazione che intercetta gli ultimi momenti della sua esistenza. "Producendo rischiò la sua posizione Alfredo Bini", così cantava Modugno, sulle note di Morricone, nei titoli di testa di Uccellacci e Uccellini di Pasolini. Anticonformista, progressista, una personalità coraggiosa, che attraverso il suo mestiere è riuscito a dar voce ad autori che sono riusciti a dare spessore e profondità alla nostrana cinematografia negli anni ’60 e ’70. Ha prodotto tra i tanti Bolognini, Pasolini, Polidoro, Comencini, Bava, Damiani, Lattuada, Gregoretti, Rossellini, Godard, Bresson, Vadim. Tutto quel filone di cinema autoriale che oggi stenta a sopravvivere, che fatica a germogliare rimanendo avvolto dall’ombra della multisala ed in prossimità di un fascio di sole che scalda ampiamente il comico televisivo farsesco e sboccato o l’importazione mainstream estera. Un panorama asciugato dall’incasso sicuro e preventivo, con qualche sporadico miracoloso successo degno di nota, ma sterile rispetto al proseguo del lavoro sulla personalità che l’ha concepito, senza una profondità di campo tangente al percorso individuale registico, né relativa al campo autoriale né tantomeno relativa al film di genere; qualche picco di vita – spesso nel campo del documentario - su di un encefalogramma perlopiù piatto. E riscoprire un produttore come Bini, oggi, è un atto necessario di un vitalismo e di un coraggio produttivo rimpianto. Quasi come una cometa che segna il cammino alle nuove personalità produttive contemporanee, un lucente audace ardore da seguire. Da Il bell’Antonio, ad Accattone, da Satyricon a La ricotta (episodio pasoliniano di Ro.Go.Pa.G) passando per Il vangelo secondo Matteo, Bini si è sempre scontrato con la censura italiana. Mannaia questa che ancora oggi fa sentire la sua lama, moderandone il taglio certamente sul suolo italiano (il rischio censura evita a priori ogni possibile produzione), ma in grado di affettare la distribuzione in sala, basta considerare la valutazione che hanno avuto film come El Club o Weekend da parte del CNVF. Mai scoraggiato dalle difficoltà affrontate, dai processi intrapresi, e combattendo con onestà e rigore, Bini, è riuscito a produrre opere che sono entrate di diritto nella storia del cinema italiano e nell’identità della cultura italiana, affrontando di petto quest’organo censoreo che da sempre ha vegliato arcigno sulla produzione e distribuzione nazionale. Uomo dalla schiena dritta, anticipatore dei tempi e catalizzatore di personalità autoriali, Bini ha lanciato nel mondo del cinema registi che senza il suo aiuto oggi non avrebbero certo il valore che nella storia cinematografica sono riusciti a raggiungere.
Simone Isola racconta Bini componendo un puzzle di tasselli omogenei, uniti all’interno di uno schema figurativo e narrativo capace di restituirci una personalità integra e ben definita, che dalla sfocatura del ricordo raggiunge il punto focale necessario per parlarci, ancora oggi, ed ammonirci per il coraggio che spesso continua a mancare. Tra interviste frontali che ricordano Bini nei tempi d’oro del cinema italiano – attraverso gli interventi di Bernardo Bertolucci, Claudia Cardinale, Piero Tosi, Ugo Gregoretti, Bruno Torri, Rino Barillari e tanti altri – manifestazioni queste di affetto e testimonianze su di un uomo che dentro al cinema ha lasciato molto, ad oggi quasi esclusivamente in termini evocativi, della sua professionalità e audacia. Dall’utilizzo di materiale di repertorio recuperato dall’archivio dell’Istituto Luce fino alla narrazione di Valerio Mastandrea che recita un diario di Bini, il documentario è la storia di un uomo, di un periodo, e di luoghi (come la famosa trattoria di Via della Croce) dove gravitavano intellettuali, artisti e registi della Roma del cinema, negli anni d’oro di un’industria cinematografica che oramai ci appare come un mosso, sfocato e accaldato miraggio, un vaneggiamento alcolico di una magnata artisticamente perlopiù sterile.