Most Beautiful Island
L'esordio alla regia dell'attrice spagnola Ana Asensio, suggestivo incontro tra il genere e la riflessione di stampo sociologico.
Presentato al Festival del Cinema Spagnolo di Roma e al Torino Film Festival, uscito nelle sale italiane a metà agosto, Most Beautiful Island è l’esordio alla regia dell’attrice spagnola (americana d’adozione) Ana Asensio, qui anche in veste di sceneggiatrice e protagonista.
Un piccolo racconto agile e compatto, nel quale l’autrice riversa qualcosa delle sue – supponiamo non facili – passate esperienze personali: come lei, la protagonista del film è una donna spagnola che ha raggiunto New York sperando in nuove occasioni di lavoro, ma la grande città, agli immigrati in cerca di fortuna, offre soprattutto il suo volto più ambiguo e insidioso.
Luciana – questo il nome del personaggio interpretato dalla Asensio – sta tentando inoltre di sfuggire a un dolorosissimo passato (si suppone la perdita di una figlia); si divide tra il suo lavoro di baby sitter a due piccoli tiranni viziati e altri lavoretti occasionali, come quello di promoter per un fast food, che la vede girare per strada vestita da pollo e che di certo non fa aumentare di molto il suo conto in banca né la sua autostima. Fino a quando Olga, un’amica russa, non le offre quella che sembra un’occasione d’oro: duemila dollari per una serata ad un party esclusivo, dove Luciana dovrà presentarsi in abitino nero e tacchi alti, solo per lasciarsi guardare “senza dover fare nulla contro la sua volontà”. Pur subodorando l’inganno, la ragazza decide di sfidare il pericolo, perché non riesce più neppure a pagare l’affitto. Quello che infine si troverà ad affrontare andrà ben oltre le sue previsioni.
Alla base di questo esordio cinematografico, forse non perfetto ma decisamente ricco di spunti suggestivi, sta l’equilibrio, o meglio la tensione, tra le esigenze del thriller/noir (suspense, attesa, mistero) e quelle della riflessione di stampo sociologico. E’ circa a metà del racconto che il film vira da un approccio minimalista e scarno alla quotidianità raccontata – un cinéma vérité tutto camera a mano e primi piani - verso atmosfere sature di angoscia e apprensione, rese attraverso un uso sapiente del fuori campo che esaspera lo spettatore esacerbandone al contempo la curiosità e l’inquietudine. Quello che, esposto in questi termini, potrebbe apparire come uno scarto o un salto, di fatto non lo è, poiché è la realtà stessa a offrire dei risvolti particolarmente perturbanti se non raccapriccianti.
La Asensio vuole portare alla luce, con un linguaggio agile e asciutto, un sottobosco metropolitano dominato da dinamiche sociali spietate e terribili, delle quali fanno le spese, come sempre, i soggetti più deboli. Luciana – una donna attraente, immigrata e senza mezzi, alla quale resta da perdere solo la propria dignità – è la cartina al tornasole di tutto questo. Lo scantinato in cui la seconda – e più cupa – parte del film viene girata è l’oscuro non-luogo dove si condensa tutto il rimosso della buona società: contraddizioni, cinismo, razzismo, sessismo, fino al sadismo vero e proprio.
Epidermico ed essenziale, incisivo e graffiante, Most Beautiful Island è una parabola limpida, emblema di una ampio discorso dai chiari risvolti politici esemplificato senza sbavature, ampollosità e retorica in un racconto solido e conciso. Disseminato di elementi disturbanti (dagli insetti, presagio e incubo, fino agli atteggiamenti umilianti e provocatori dei due bambini), il film è anche la riprova della capacità, da parte della regista, di giocare con la forma e gli stilemi di genere senza mai perdere lucidità nella messa a punto dei contenuti.