Snowpiercer
Rage against the engine: il cinema spettacolare al meglio delle sue funzioni e potenzialità
Così senato e popolo,
come fossero un unico corpo,
con la discordia periscono,
con la concordia rimangono in salute
Menenio Agrippa
Se c’è un’opera capace di riscrivere il cinema del proprio paese, di aprire nuove prospettive produttive, nuove strade e potenzialità, quella è Snowpiercer di Bong Joon-ho, con buona probabilità il più importante film coreano degli ultimi anni. Prima di essere uno ottimo esempio di fantascienza distopica capace non solo di dialogare con i suoi simili hollywoodiani ma di superarli ampiamente, Snowpiercer – uscito prima che da noi in patria e in Francia, con risultati record per entrambi i paesi – può infatti diventare nel corso di quest’anno il primo blockbuster coreano a raggiungere un grande successo internazionale. Girato in inglese e con un cast per buona parte hollywoodiano, distribuito all’estero da uno degli uomini più potenti del cinema occidentale, Harvey Weinstein, il film di Bong è infatti qualcosa di profondamente diverso dalle trasferte hollywoodiane di Park Chan-wook (Stoker)e Kim Jee-woon (The Last Stand); non siamo di fronte né all’esordio americano di un altro grande autore orientale né ad una co-produzione internazionale. Costato 40 milioni di dollari (il più alto budget nella storia del cinema coreano, metà del quale arrivato dalle casse Weinstein in cambio dei diritti di distribuzione internazionale), Snowpiercer è un film al 100% coreano, che pur essendo stato girato in Repubblica Ceca, è prodotto dalla Moho Films di Park Chan-wook e finanziato dalla CJ E&M, distaccamento cinematografico della più grande società d’intrattenimento nazionale. E’ come se per una volta fosse davvero la montagna a venire da Maometto, profeta dalla visione e dal potere commerciale talmente forti da portare Hollywood in Corea, per sfidarla e vincerla sul suo stesso terreno. Snowpiercer è il più ambizioso film di un paese pronto ad offrire l’alternativa di un cinema blockbuster intelligente e impegnato, capace di unire la ricchezza della tradizione del genere al valore aggiunto di una visione autoriale innovatrice e consapevole. A dimostrazione che un’altra Hollywood e un altro cinema spettacolare sono ancora possibili.
Tratto dal fumetto francese Le transperceneige di Jacques Lob, Benjamin Legrand e Jean-Marc Rochette, Snowpiercer racconta di ciò che resta dell’umanità dopo che un tentativo di arginare il riscaldamento globale ha scatenato sulla Terra il contrappasso di una nuova, fulminante glaciazione. Raccolti su un lungo treno futurista che attraversa incessantemente il mondo percorrendo un unico binario, i pochi superstiti vivono nelle mura d’acciaio del convoglio, cancelli e pareti progettati tanto per tenere fuori il gelo quanto per mantenere tutti al proprio posto, che sia una cabina lussuosa o l’ultimo dei vagoni. E’ il treno infatti ad ordinare la struttura della nuova società, rigidamente divisa in scomparti classisti nei quali ciascuno deve accontentarsi di ciò che gli viene dato e “rispettare il proprio ruolo”, obbedendo ciecamente all’ordine di un potere dittatoriale che spartisce con estrema accuratezza i propri privilegi. Perché nel realistico pessimismo di Bong anche alla fine del mondo l’uomo non potrà che ripresentarsi e riorganizzarsi secondo vecchie logiche di potere, suddivisioni arbitrarie spacciate per assolute e necessarie. E così dai carri bestiame della coda in cui sono stipati i più bassi gradi sociali, si passa pian piano agli ambienti più agiati, piscine, scuole, discoteche, fino in cima, alla locomotiva di testa, sede dell’inventore e proprietario del treno, presidente e padrone dell’umanità, il metafisico e irreale Wilford.
Rage against the engine. Dopo le cicatrici lasciate dalla dittatura in Memories of Murder e il confronto con il trauma post-bellico di The Host, Bong Joon-ho torna inevitabilmente a parlare di potere, mettendo in scena con spietata limpidezza la storia di una rivoluzione e le atroci divergenze di classe che la generano e giustificano. Guardando alla retorica del potere perfezionata dall’antica Roma, per la quale la struttura sociale è solo un grande essere vivente in cui ogni organo è chiamato a svolgere il ruolo che gli compete per il bene comune, Bong trasforma la messaggera Tilda Swilton (grandiosa) in un nuovo Menenio Agrippa e crea un incubo distopico figlio del passato ma dalla chiara ingerenza sul presente, ricamato con la libertà propria di chi può permettersi di portare la sua narrazione in quei meandri oscuri da cui il buonismo americano si tiene accuratamente a distanza. In questo senso Snowpiercer è un lucido esperimento (ma non per questo freddo, anzi) nel quale Bong si confronta con la tradizione spettacolare hollywoodiana, dissezionandola nei suoi elementi fondativi per rivoluzionarla dall’interno. Quello di Bong con Hollywood è infatti un rapporto duplice e dialettico, in cui si incontrano fedeltà e innovazione, come se il regista coreano avesse impegnato tutto se stesso nello scardinare da dentro i principi della tradizione onorandone però il valore mitico, nel pieno rispetto delle regole dello spettacolo e del genere. Snowpiercer per questo è ciò che il cinema hollywoodiano potrebbe ma troppo spesso rinuncia ad essere, a partire dalla figura dell’eroe, annichilita e rigenerata dallo sguardo del regista coreano. Il personaggio di Chris Evans ha poco a che spartire con i canonici viaggi di formazione dell’eroe americano; pur essendo il punto di riferimento per l’immedesimazione spettatoriale, Curtis ha fatto e fa determinate azioni che pur donando una straziante profondità al suo personaggio mai avremmo visto fare in un film americano. In quest’ottica laboratoriale si spiega anche l’insistenza sulla figura del villain, il muto assassino che insegue Curtis per mezzo treno e la cui pervicacia rimanda al cinema d’azione più chiassoso; o ancora l’uso enfatizzante del ralenti e della musica nel finale. Snowpiercer è a tutti gli effetti un banco di prova nel quale Bong ha sperimentato con il cinema hollywoodiano per scoprire quanto fosse possibile rivoluzionare e quando invece andasse rispettato, ripetuto nel tentativo di migliorarlo. Come ad esempio l’uso dell’ironia, uno degli espedienti che più marca la distanza di questo dal modello, per come Bong riesce ad iniettare anche nei momenti più cupi quel lampo di imprevedibile grottesco che invece di cacciare lo spettatore fuori dal film ne aumenta vertiginosamente il senso di realtà. In questo senso Snowpiercer è frutto della più florida convergenza multiculturale di sensibilità e prassi narrative, il cinema spettacolare al meglio delle sue funzioni e potenzialità, in cui soluzioni coraggiose convivono armoniosamente con gli stilemi più classici grazie alla forza di una visione unificante. Perché oltre ogni cosa Snowpiercer è la conferma di quanto sia e sarà importante Bong nel cinema contemporaneo.