Cry Macho - Ritorno a casa
Con Cry Macho, Clint Eastwood demitizza il suo passato e dona la propria crepuscolare icona all'eternità - o, forse, semplicemente a un sogno in cui poter danzare liberi da qualsiasi costrizione terrena.
«Non so come curare la vecchiaia» afferma Clint Eastwood in Cry Macho, il suo ultimo film presentato in anteprima italiana al Torino Film Festival. È un ex macho in viaggio lungo il confine tra gli Stati Uniti quello che incontriamo in questo mesto e caldo addio agli spettatori. Campione di rodeo che ha dovuto abbandonare la carriera per un infortunio alla schiena e con un trauma familiare alle spalle, Michael Milo ha anche un passato da alcoolista. Un suo vecchio conoscente lo incarica di attraversare il confine messicano per andare a recuperare suo figlio adolescente (Rafo) e riportarlo a casa sfuggendo alle grinfie della pericolosa ex moglie. Mike, così, si avventura in questo road movie sentimentale che attraversa il tempo del cinema di Clint Eastwood.
Il sole sta tramontando, i cavalli galoppano in libertà e furoreggiano in parallelo al mezzo guidato da Mike Milo, restituito attraverso una serie di dettagli. Infine, a scendere dal veicolo è proprio Clint Eastwood, inquadrato dal basso verso l’alto, come fosse un monumento-estensione e sintesi dell’ambientazione western. Ancora una volta nel suo cinema, bastano un dettaglio e un semplice corpo a dettare le coordinate emotive e immaginarie di riferimento. In Cry Macho - Ritorno a Casa, il volto del suo protagonista si staglia sull’orizzonte come una scultura lignea modellata dalle difficoltà della vita, dalla durezza della wilderness e dalle colpe trascorse impossibili da espiare.
Come in Un mondo perfetto, Million Dollar Baby e Gran Torino, a fare da sfondo in quest’ultimo film del regista di San Francisco è il rapporto tra mentore e allievo, un ragazzo che crede nel mito del machismo, demolito da Clint Eastwood attraverso la sua anima anarchica e liberale. Intiepidito dai raggi del sole fotografato da Ben Davis, il corpo spigoloso di quest’ultranovantenne cela un cuore tenero e sensibile e il desiderio di un anfratto paradisiaco da abbracciare e in cui godersi la lentezza della vita.
Cry Macho porta in scena l’ennesimo padre sconfitto del cinema di Eastwood, un fallito che regge un doloroso fardello sulle spalle ma che ha imparato a guardare alle cose con rinnovato stupore. Il carattere elementare della messa in scena ben si sposa con la demitizzazione del personaggio del macho, che si sottrae con decisione dal piedistallo su cui l’immaginario collettivo lo ha posizionato per abbracciare la montagna di fragilità che questa seduta di autocoscienza porta a galla. Tra inseguimenti in auto, lotte tra galli e potenziali sparatorie, il film scarta più volte da sé stesso e riesce a dare vita a numerose parentesi in grado di dialogare anche con I ponti di Madison County. Il vecchio macho diventa un terapeuta e impara a curare l’anima di chi ha individuato l’essenziale nei sentimenti.
Così, Mike si congeda dall’adolescente che restituisce al padre e dà il suo addio a noi spettatori, testimoni della struggente genesi di una nuova vita al di qua del confine - o, forse, semplicemente di un sogno in cui poter danzare liberi da qualsiasi costrizione terrena. Il ritorno a casa del titolo italiano è il dono della propria crepuscolare icona all’eternità.