Se il Dadaismo trova la sua ragion d’essere nella rilettura dissacrante e giocosa del reale e dell’arte intesa come categoria e come ambito di espressione – minandone così i confini ontologici e rinnovandone in un certo qual modo il senso profondo – il Surrealismo fa risiedere il proprio potenziale di fascinazione straniante e spiazzante nella capacità di riproporre elementi e scorci della realtà in una chiave inedita: il quotidiano si carica improvvisamente della tensione misteriosa generata dall’inaspettato, dal bizzarro, dall’incongruo e si dà allo spettatore attraverso il linguaggio simbolico, ma spesso oscuro e sibillino, del sogno.
L’orinatoio capovolto di Duchamp è diventato quindi una fontana e la pipa di Magritte non è più una pipa. Allo stesso modo, la Mosca del cortometraggio di Dimitri Venkov, offerta allo spettatore in lunghe e fluide carrellate dove però l’immagine è costantemente capovolta, non è più Mosca ma Muscovy: un negativo della città, un doppio alieno e ancora inesplorato, “an upside down space twin of the city of Moscow”, afferma il regista. Non c’è più terra, ma un vuoto sconfinato e spaesante che si fa vertigine, abitato solo dai volumi luminescenti e inafferrabili delle nuvole. In alto, su questo spazio-nulla che attira lo sguardo come un abisso di luce, si affacciano le sommità delle architetture di Mosca. Ma cosa sono? Non più edifici ancorati saldamente al suolo, ma stravaganti e affascinanti mostri che si sporgono convulsamente nell’inquadratura, fluttuanti eppure immobili. Perché la Mosca-Moscovy del breve, magnetico cortometraggio di Venkov non è una città viva e animata, forse non è più neppure umana: è una realtà solennemente statica, pietrificata, dove l’unica cosa che si muove - con eleganza e leggerezza - è la macchina presa, occhio dinamico che porta lo spettatore in un tour esplorativo del tutto inconsueto.
Questo dialogo segreto tra architetture e nuvole si serve di una partitura musicale ah hoc: il compositore Alexander Manotskov utilizza una delle prime versioni dell’inno nazionale russo per creare tre variazioni su tema dal sapore elettronico, che vogliono corrispondere a diversi stili architettonici per suggerire, appunto attraverso i mutamenti dell’architettura, il trascorrere del tempo e della grande Storia.
Piccolo oggetto non etichettabile, difficilmente assimilabile ad altro nel panorama contemporaneo, The Hymns of Muscovy attraverso un unico gesto - semplice quanto radicale - rimarca le infinite possibilità del cinema di rielaborazione immaginifica del reale, e chiama in causa in modo emblematico una riflessione sull’importanza della direzione – in senso non solo letterale – dello sguardo.