Five Seasons: The Garden of Piet Oudolf
Miglior Film sull’Arte - Asolo Art Film Festival 2019
For me, garden design isn’t just about plants, it is about emotion, atmosphere, a sense of contemplation. You try to move people with what you do. You look at this, and it goes deeper than what you see. It reminds you of something in the genes — nature, or the longing for nature. (Piet Oudolf)
A guardare i giardini del paesaggista olandese Piet Oudolf, dove piante spontanee e fiori di campo si alternano in vivide e vaporose macchie di colore, sembra di osservare la tavolozza meravigliosamente confusa di un artista esuberante. L’idea che ne sottende la costruzione e soprattutto che determina la selezione di fiori e arbusti è quella di una bellezza che muta con le stagioni ma che non viene mai meno: "A garden is exciting for me when it looks good through the year, not just at one particular time. I want to go outside and for it to be interesting in all weather, in early spring and late autumn”, osserva Oudolf. Ecco allora che il trascorrere delle stagioni, più che trasformare l’atmosfera di questi paesaggi sognanti, quasi si limita a scurirne e desaturarne la gamma cromatica, come per accordarla dolcemente all’aria brumosa e grigiastra dei mesi più freddi.
È una natura ideale quella ricreata dal gusto attentissimo di Oudolf, che ama la morbidezza e l’impressione di spontaneità nello sviluppo delle aiuole che sono appunto essenzialmente campiture di colore vibrante, intersecate e contigue più che separate. La progettazione non è mai imposizione geometrica dello sguardo umano sul disordine fecondo della natura, ma al contrario è sempre nascosta e silente, allo scopo di ottenere un risultato ben preciso – la sensazione di casualità, di calibrato disordine – che è un po’ il marchio di fabbrica del paesaggista.
Il regista Thomas Piper ha alle spalle – come regista, montatore, direttore della fotografia – numerosi documentari su artisti e architetti (Pablo Picasso, Sol LeWitt, Frank Lloyd Wright); in Five Seasons: The Garden of Piet Oudolf cerca di illustrare il processo creativo di Oudolf a partire dalla fase di progettazione, quella più immaginifica, che prende forma nel momento in cui il protagonista siede al suo tavolo da lavoro con carta e penne colorate. Lo spazio bianco del foglio si riempie di morbide forme multicolore che, nella legenda a margine, rimandano a infinite specie di piante.
Vengono poi rivelati in tutta la loro magnificenza i più noti tra i giardini progettati dal paesaggista – a partire dalla famosa High Line di New York, un parco lineare lungo più di due km che sfrutta lo spazio di un tratto di ferrovia in disuso – e i luoghi che sono, per Oudolf, fonte di ispirazione come il variopinto, esplosivo parco texano Wildflower Centre o le grandi, ombrose foreste della Pennsylvania.
Non mancano i cenni biografici, con tanto di fotografie dal sapore piacevolmente nostalgico, che trovano la loro ragion d’essere nell’intento di raccontare, del protagonista, dal un lato il percorso formativo e dall’altro – con tatto e discrezione – l’universo privato e intimo. Ma soprattutto, il documentario di Piper restituisce allo spettatore, con passione ed empatia, l’essenza profonda del mondo e del pensiero di Oudolf, il suo sguardo sulle cose, la sua concezione del lavoro, della natura, della bellezza, in un certo senso della vita. Ed è proprio questa vicinanza emotiva tra regista – presenza pressoché invisibile – e protagonista che riesce a portare il pubblico che osserva nella tridimensionalità spaziale degli splendidi giardini, che non vengono descritti mai come fondali inerti seppure perfetti, ma al contrario come luoghi vivi, pulsanti, densi di mistero, che esistono per essere non solo ammirati ma anche fisicamente esplorati, facendo esperienza diretta del colore, del profumo, dell’atmosfera magica che li contraddistingue.