Il colpo del cane
Commedia a incastri che gioca col tempo e le situazioni, ma soprattutto inventa e riscopre spazi e modi preziosi di raccontare la città.
A Roma, sulle colline del Trullo, nel mezzo di quel pratone che si estende tra la Magliana e la Cristoforo Colombo, svetta un edificio dal fascino particolare; è la Torre Righetti, casino di caccia in stile neoclassico costruito nel 1825 e ormai abbandonato. Da lì oggi si gode di una vista non comune, un panorama che include le palazzine futuriste dell’Eur e San Paolo per arrivare fino a San Giovanni e Santa Maria Maggiore. Cinquant’anni fa, in quei prati di pascoli e sterpaglia, Pasolini lasciava vagare Totò e Ninetto Davoli nel suo Uccellacci e uccellini; oggi tocca a un giovane regista romano – diplomato del CSC e neanche trentenne – riscoprire quella vista e quelle mura, perché è lì che Fulvio Risuleo cala il suo Il colpo del cane, storia a incastro il cui triangolo di protagonisti – un trio di giovani precari ed emarginati sociali – si muove attorno alla Torre e attraverso i campi abbandonati che la circondano.
Già Guarda in alto, l’esordio al lungo di Risuleo dopo i due corti selezionati e premiati a Cannes (Lievito madre e Varicella), nasceva dalla necessità di guardare Roma da una prospettiva altra, un punto di vista inedito che permettesse alla narrazione di assumere atmosfere oniriche e allo spazio urbano di rinnovarsi facendosi contenitore attivo di storie. Lì erano i tetti e le mura della città a svolgere questo ruolo creativo, qui sono gli spazi western di Roma Sud, scorci dimenticati che Risuleo dissotterra e sfrutta per ridisegnare ancora una volta l’identità cinematografica di Roma. Guarda in alto lavorava in tal senso sul registro onirico del Gondry più fiabesco e lussureggiante, Il colpo del cane invece guarda agli elementi del cinema criminale di periferia – personaggi border, disagio sociale, un colpo da portare a compimento – ma popola la sua storia e i suoi spazi di personaggi fumettistici e stilizzati ricavandone un gesto eversivo, tra l’amaro e l’ironico. Viene in mente, guardando Il colpo del cane, il lavoro che il giovane regista romano, diplomato del Centro Sperimentale, ha dedicato ai quartieri più weird e nascosti di Parigi, quel Reportage Bizarre che - nomen omen – svelava già un rapporto non usuale con lo spazio e le sue possibilità di racconto.
Nella cultura classica romana il futuro si prevedeva, tra le altre cose, con un lancio di tre dadi. La combinazione più sfortunata era quella formata da un triplo 1, e che veniva detta il colpo del cane; per la serie, se qualcosa può andare male fidati, andrà peggio. E in effetti Rana, Marti e Orazio non sono proprio personaggi che ispirano fortuna, per quanto a gravare su di loro sia più che altro quel meccanismo di emarginazione sociale e vaga depressione quotidiana che sembra precludere ogni alternativa all’arrabattarsi o alla delinquenza. In quest’orizzonte privo di possibilità la regola sembra essere quella, si perdoni il gioco di parole, del cane mangia cane, guerra tra poveri in cui ci si inganna e deruba a vicenda. Ma Il colpo del cane non vuole essere l’ennesimo spaccato di periferia urbana, e così alla creazione di nuovi spazi cinematografici segue anche lo svelamento di una struttura a ingranaggi in cui la storia parte, si ferma a metà strada e poi torna su sé stessa forte di un nuovo punto di vista, che andrà ad arricchire il lato umano e narrativo di quanto visto. Un gioco a incastri che sicuramente tradisce una certa difficoltà del regista a gestire la forma del lungometraggio – e la maggior impalcatura di scrittura che questa comporta – essendo di fatto il film l’incontro di due cortometraggi imparentati, ma che comunque rivela la volontà di attirare lo spettatore nelle maglie della commedia per poi condurlo altrove, spiazzarlo, offrendo nuove soluzioni che non si limitano a essere gioco ipertestuale ma tentativi di sparigliare le carte in quell’orizzonte altrimenti così asfittico e granitico qual è quello della commedia popolare italiana.