Tornare a vincere
Diretto da Gavin O'Connor, Ben Affleck risorge ancora una volta dalle sue ceneri e porta in scena l'interpretazione più dirompente della sua carriera.
Sulla bocca di tutti fin dal periodo conclusivo degli anni Novanta, Ben Affleck sembra vivere in simbiosi con il mondo del cinema, visto come l'unico grembo materno in grado di assicurare la salvezza. Dopo le scorribande da regista che hanno contribuito a restaurare la sua immagine un po' appannata e sofferta, anche le sue ultime interpretazioni attoriali confermano una visione autoriale e un forte punto di vista che esulano dal ruolo svolto sul set. In modo particolare, Tornare a vincere – in cui Affleck ritrova Gavin O'Connor – assume su di sé il complesso compito di riabilitare ancora una volta un essere umano apparentemente condannato alla contrarietà di un destino nemico e alla passionalità di uno sguardo romantico, e, per questo, costantemente fuori luogo, destabilizzante, titanico e quasi infernale.
Nella sua ultima performance, Affleck risale letteralmente le pareti infernali dell'alcoolismo, lottando con una carriera sull'orlo del fallimento e con un passato da eroe liceale. Jack Cunningham, infatti, era una ex-stella del basket con un futuro radioso pressoché garantito. A causa di una serie di problemi familiari, però, il ragazzo ha scelto di mollare tutto e di abbracciare una vita faticosa e deludente. L'incontro con una donna lo ha redento ma un'ulteriore tragedia familiare lo ha spinto a ripiombare sulla bottiglia con maggiore determinazione di prima. Almeno fino a quando riceve un'allettante proposta dal dirigente scolastico del liceo frequentato da adolescente: a Cunningham è offerta la possibilità di allenare la squadra di basket e di tornare, quindi, a vincere.
Dimenticando un attimo la costruzione narrativa di un racconto sportivo basato sulla fatica, sul talento individuale e sulle prestazioni collettive, sull'agonismo e sulla capacità di mettersi nuovamente in gioco e, ovviamente, la puntuale coincidenza tra aspetti diegetici ed extra-diegetici relativi a Ben Affleck uomo e personaggio, Tornare a vincere è un sorprendente sport-drama che parla dell'impossibilità di tornare a casa. Come La legge della notte, anche il titolo di O'Connor rispetta i cliché del genere ma, allo stesso tempo, se ne discosta, segnando uno scarto rispetto al genere tradizionale. Il film ribolle di suggestioni, di sangue e passione ma, a differenza del cinema diretto dal suo attore protagonista, non vive di contrasti e “cannibalismo”. Al di là della retorica sportiva, al regista bastano davvero poche immagini e semplici scelte di campo per confinare Affleck ai margini dell'inquadratura, gigante buono imploso, dolente, silenzioso e sempre contenuto nonostante alcuni accessi d'ira portati in scena da un corpo imbolsito e da due occhi ridotti a fessure ma pur sempre in grado di trasmettere un'energia febbrile.
Costruito come il più classico dei percorsi di Vogler, il film è portato interamente sulle spalle dal suo interprete principale, il cui sguardo non si arrende al peso di memorie intollerabili persino per il suo corpo e la sua anima ma cerca sempre un altrove, situato fuori da ogni campo possibile. E, a farsi carico di questo altrove, non può che essere il cinema, luogo paradisiaco fatto di gesti essenziali, racconti di genere che lasciano emergere il passato doloroso e le zone di vuoto della memoria che condizionano il presente, la necessità di un sacrificio (probabilmente inconsapevole) che prevale sul sogno di un (oscuro) futuro. Il dialogo finale tra Cunningham e la moglie sembra davvero uscito da un film di Clint Eastwood o di James Gray, frammento sentimentale di un dramma urbano e umano ormai arrivato alla resa dei conti.
In un certo senso, Tornare a vincere potrebbe essere anche un documentario, racconto di una redenzione impossibile da acciuffare nel contesto quotidiano ma bisognosa di un distanziamento (sociale – a tal proposito, l'ironia della sorte è che, a causa del Covid-19, il film abbia saltato la distribuzione tradizionale e sia disponibile in streaming su diverse piattaforme online). E, così, Affleck/Cunningham cede per l'ennesima volta all'emozione dirompente e alla corruttiva unicità del suo corpo fuori da ogni schema. La risalita, probabilmente, è impossibile. Ma il suo sogno esiste ancora, magari proprio su quel campetto da basket isolato dal mondo, residuo estremo di una purezza da raggiungere al di là del visibile.