The Giver - Il mondo di Jonas
Distopia adolescenziale, The Giver guarda troppo alla confezione hollywoodiana e al suo target post-Twlight per essere davvero credibile come apologo dell’individualità.
Dalla casa al lavoro, dall’aspetto alla struttura famigliare, tutto risponde alla logica asettica dell’uguaglianza assoluta, dell’identità elementare atta a soffocare ogni possibile conflitto. In questa società la diversità non è un valore ma un rischio, un attitudine al caos. Tutto appare allora avvolto in un bianco e nero monocorde, artificioso, un orizzonte di uniformità destinato ad infrangersi col rinascere dei colori, col ritorno dell’unico e individuale.
Già Pleasantville sfruttava l’escamotage coloristico per raccontare una società omologata e la sua messa in crisi, ma nello splendido film di Gary Ross al centro della scena c’era l’american way of life degli anni Cinquanta, la culla del sogno americano fonte di nostalgia eterna. The Giver – Il mondo di Jonas invece trasporta questo modello sociale nel terreno della distopia fantascientifica, seguita fedelmente in tutti i suoi elementi canonici. Il mondo è andato incontro ad una crisi universale di cui pochissimi conservano oggi la memoria; la nuova società, rigorosamente isolata dall’esterno, si è reinventata sotto la guida di una gerarchia di anziani, dai quali provengono i dettami di uguaglianza assoluta sulla quale si fonda tutta la comunità. Ma se in Pleasantville la seconda e ben inquietante faccia del conformismo sociale è già presente nella nostra Storia, vive nella realtà di tutti i giorni, il film di Phillip Noyce funziona poco proprio nel trasfigurare il racconto fantascientifico all’oggi. Infatti lo slancio tematico sul valore della diversità all’interno della struttura sociale perde gran parte dell’impatto se l’intera architettura su cui si sostiene il racconto è un adolescenziale viaggio dell’eroe sostanzialmente privo di personalità. The Giver guarda troppo alla confezione hollywoodiana e al suo target post-Twlight per essere davvero credibile come apologo dell’individualità. Di conseguenza la stessa struttura distopica non viene approfondita, si accoda al già visto, rinunciando ad esplorare quel legale conflittuale, interessante ma in definitiva soltanto accennato, tra caos, diversità, vita e violenza.
Dove il film di Noyce gioca meglio le sue carte invece è nel raccontare il ruolo e l’importanza che la memoria ha nella costruzione di una società. Per fare ciò The Giver si affida totalmente, finalmente, alle immagini. Esse, e non libri o altri strumenti, sono il veicolo d’elezione per la necessaria trasmissione delle memorie. L’immagine (il cinema?) diventa il terreno d’incontro da Jonas e il precedente raccoglitore di memorie (Jeff Bridges), colui che prima di Jonas doveva mantenere in sé la consapevolezza del passato e trasmetterla ai governanti. Jonas, eletto nuovo raccoglitore dal consiglio degli anziani, acquisirà il passato non solo per via iconica ma spesso attraverso un’immagine inequivocabilmente cinematografica. A ricordare, ancora una volta, come il cinema sia lo strumento con il quale ricorderemo il mondo.