The Guest
Visto al Festival di Torino, The Guest di Adam Wingard si muove in bilico tra più generi, con un occhio in particolare rivolto all'horror degli anni Ottanta
L’horror è quel genere cinematografico che può considerarsi generazionale per eccellenza, esecutore su pellicola delle manie, delle ossessioni e delle paure profonde dei decenni che ne attraversano la produzione. Basterebbe rispolverare qualche vecchio manuale di storia del cinema per ricordarci i sottotesti semantici di grandi classici, a partire dal Bacio della pantera (1942) di Jacques Tourner, nel quale il personaggio di Irena Dubrovna è la rappresentazione della fobia nei confronti dello straniero e del non-americano. In tempi più recenti John Carpenter colse come nessuno la “dittatura democratica” del periodo reaganiano in Essi vivono (1988), così come Wes Craven inaugurò un discorso sulla psicosi dei media nella saga di Scream.
Indi per cui sono tanti i registi che nascono come autori di film horror, e dagli anni ottanta ad oggi la lista contiene decine di nomi più o meno importanti, da Sam Raimi a Peter Jackson, Neil Marshall, Ti West, Guillermo Del Toro...
A 19 anni Adam Wingard si presentò per i festival indie d’America con Home Sick, e solamente a 22 anni dirigeva A Horrible Way to Die (2010). In poco tempo il ragazzo finisce sulla bocca di tutti gli amanti dell’orrore con You’re Next (2011), horror-thriller doppiogiochista. In quel piccolo capolavoro ad episodi che è V/H/S (2012), prodotto che si prende la briga di ribaltare e riscrivere i canoni dell’horror del nuovo millennio, Wingard è il regista di quello che potrebbe definirsi l’ouverture del film. Infine arriviamo a The Guest, il film che lo porta verso la strada della maturità, in cui ritorna la tematica dell’invasione casalinga nonostante il linguaggio horror sia lontano. Wingard piuttosto gioca sui diversi piani di una trama da thriller in cui per buona parte del film conosciamo solamente la punta dell’iceberg di un mistero che ci verrà svelato solo sul finale.
Un giorno qualunque una famiglia si ritrova in casa un veterano di guerra, un ragazzo che aveva combattuto con il figlio che non hanno mai più rivisto. I racconti di amicizia con il defunto ed una squisita gentilezza fanno sì che tutti gli elementi del nucleo famigliare accettino in casa il nuovo arrivato. David (Dan Stevens) in apparenza è perfetto, e si potrebbe insinuare che quasi volutamente ricordi il Capitan America interpretato da Chris Evans: entrambi biondi, occhi azzurri, protettivi, fisicamente impossibili. Ma Wingard non crede alle fiabe, la maschera da Capitan America si scioglie sul viso di David, scivola via con hitchockiana memoria.
Se una prima parte del film è quindi incentrata sul rapporto tra la famiglia “adottiva” e David, la seconda, che inizia nel momento della rivelazione, trasforma la pellicola in un vero e proprio action dagli esiti splatter, con un epilogo dai doppi colpi di scena.
The Guest potrebbe essere letto come un’opera sui traumi della guerra e del veterano “malato”, ed immaginare quanto questo tema sia attualmente caro agli americani, vista l’attenzione ricevuta da American Sniper. Tuttavia i film guardano in direzioni diverse, Wingard e Eastwood si allontanano. Per il giovane regista infatti il discorso postbellico è un punto di partenza per uno sguardo su una società americana colpevole di ignorare la pericolosità del potere istituzionale e di chi ha il controllo militare (e mentale) della nazione. Gli eroi che nascono per sperimentazione tecnologica, i Capitan America, sono deviazioni, inconcepibili nella loro aura di perfezione. L’esigenza di chi controlla la società americana (è evidente l’influsso dell’horror politico alla Carpenter), è quella di nascondere la trasformazione di uomo in macchina.
Da notare come il film sia attraversato da una nostalgica ossessione per gli anni ottanta, che da qualche anno colpisce una certa cinematografia horror e che a quanto apre ha influenzato lo stesso Wingard: spuntano musicassette e compilation casalinghe, feste adolescenziali in ville di periferia, Sisters of Mercy e Love and the Rockets, i rituali scolastici e l’inevitabile festa di halloween che apre simbolicamente le porte all’epilogo di sangue.