Ieri/oggi - Speciale Howard Hawks: Arcipelago in Fiamme
Arcipelago in Fiamme è un campo di battaglia cinematografico tra cinema di propaganda e film d'autore, una miscela instabile di bellezza e orrore.
Per chi conosce il cinema di Howard Hawks, Arcipelago in fiamme (Air Force) è una sorta di banco di prova, un oggetto di difficile lettura: un film di propaganda e di guerra, progettato e girato in tempi rapidi con il pesante coinvolgimento del governo e dell'aviazione statunitensi, concepito per uscire in sala a un anno esatto dall'attacco di Pearl Harbor. Il film non arriverà sul grande schermo prima del 1943, dopo numerosi ritardi, riscritture e conflitti tra Hawks e le altri parti in causa. In altri termini, Arcipelago in fiamme è un film atipico per il suo regista, esito di circostanze straordinarie e di vincoli espressivi particolarmente stretti, girato in buona parte all'interno del modello di un bombardiere B-17. Cosa rimane, qui, dell'Autore passato e futuro? Quali sono i suoi spazi, qual è la sua voce?
Hawks non è un autore di film di guerra e, pur con gli ovvi vincoli del caso, ne rispetta solo parzialmente regole e convenzioni. Una costante della sua carriera: si pensi solo a Un dollaro d'onore (Rio Bravo), western che non ha quasi nulla del western se escludiamo i costumi e le scenografie, e ad altre opere meravigliosamente fuori dagli schemi. Di certo, però, Arcipelago in Fiamme va oltre il suo autore: la propaganda e l'obiettivo politico del film sono ben visibili e, spesso, ingombranti.
La visione di un film di guerra (totale) in un tempo di pace (apparente) è perturbante: non riconosciamo la feroce ideologia della mobilitazione e l'odio razziale come parte di noi, eppure sappiamo che quel cinema ci appartiene e ne vediamo l'immaginario all'opera ogni giorno. Hawks mette in scena le crude emozioni della violenza e dell'odio, senza edulcorarle – né avrebbe potuto farlo, ripetiamo – ma mostrandole con tutta la prosaicità possibile per un film il cui obiettivo è scandire, a chiare lettere, Why we fight. L'urlo di soddisfazione per la morte di un giapponese dura solo il tempo di una raffica di proiettili, lasciando subito spazio al silenzio o al rumore bianco della battaglia. Altrove, è molto più ovvio quanto Arcipelago in fiamme sia l'esito di un difficile compromesso: la lunga battaglia del finale non è nelle corde di Hawks, così come altre concessioni alla retorica ufficiale che puntellano l'intera sceneggiatura. Purtroppo, c'è anche spazio per del razzismo esplicito e si fa menzione di un coinvolgimento dei nippoamericani nell'attacco a sorpresa di Pearl Harbor che è storicamente falso, e che ha probabilmente contribuito, in quegli anni, alla persecuzione dei cittadini statunitensi di origine giapponese. In molte occasioni, l'intelligenza e l'ambiguità della messa in scena sono brutalmente sommerse dalle musiche trionfali e debordanti che non lasciano scampo allo spettatore.
Nonostante tutto, questo resta chiaramente un film hawksiano. Hawksiana è, per esempio, la costante tensione centrifuga rispetto alle convenzioni hollywoodiane. Quando uno dei personaggi del film scopre la morte del figlio, questi reagisce in un modo quasi opposto rispetto al collasso emotivo che ci saremmo aspettati in un'opera più banale. Altri personaggi, pur aderendo a modelli famigliari, non mancano di sorprendere o di mostrare insperati guizzi di vitalità. I soldati che volano sul bombardiere B-17 Mary Ann sono una sporca decina di eroi e antieroi, non sempre affiatata, sempre in azione e interazione: si interrompono a vicenda, si lasciano andare ad amichevoli prese in giro, sono costantemente in ebollizione mentre osservano, parlano, sparano, salgono e scendono... primo piano e sfondo si scambiano in continuazione, e le scene si dispiegano come piccoli, sobri piani sequenza la cui eleganza esplode, improvvisamente, in inquadrature di bellezza e profondità vertiginose. Come quell'ultima inquadratura che racchiude, in una elegante cornice di luce, uno stormo di bombardieri che vola verso il sole nascente... per un attimo, sembra quasi di dimenticare che il loro obiettivo sia quello di ridurre Tokyo in cenere.
Arcipelago in Fiamme è dunque ambiguo, scisso, complesso. E complessa – nel senso etimologico del termine: intrecciata, composta di più fili e più prospettive – deve essere la sua visione oggi. Una visione ben piantata in un dove, un come e un perché e chiaramente consapevole che il cinema è anche un campo di battaglia tra sguardi e poteri in disarmonia prestabilita.