Human Nature

L'interessante esordio di Michel Gondry scritto da Charlie Kaufman

Lila ha trent’anni e un grave problema: fin dall’adolescenza soffre di una rara forma di irsutismo, malattia che l’ha portata prima ad abbandonare ogni forma di interesse nei confronti del genere maschile, poi a rompere con la civiltà per ritirarsi in una sorta di eremo a stretto contatto con la natura. Divenuta scrittrice di successo, decide di tornare nel mondo civilizzato cercando di risolvere la propria diversità con l’aiuto di lunghe sessioni di laserterapia. Derek, invece, la società civilizzata non l’ha mai conosciuta: cresciuto allo stato brado da un padre follemente attaccato ai valori della natura, vive come un primate saltando da un albero all’altro in una foresta della provincia americana. Nathan è un affermato scienziato comportamentista che conduce minuziosi esperimenti volti a insegnare il galateo a una coppia di topi, convinto di poter prima o poi estendere i risultati del proprio lavoro all’intero genere umano. Un giorno incontra Lila e se ne innamora, superando così le barriere causate da una rigida educazione da parte dei genitori e dalle esigue dimensioni del proprio sesso che fino ad allora gli avevano impedito una qualsiasi forma di contatto fisico con il genere femminile. Quando Nathan incontra per la prima volta Derek nel suo ambiente naturale decide di convertirlo a colpi di elettroshock in un essere civilizzato; dopo un’intensa “educazione”, Derek si trasforma in un perfetto gentiluomo diventando un vero e proprio caso all’interno della comunità scientifica; sembra essere finalmente giunto l’agognato successo per Nathan, il quale però scopre la malattia che Lila gli aveva sempre tenuto nascosto, finendo per tradirla con la propria assistente. Lila decide così di vendicarsi strappando Derek dalla civiltà per “rieducarlo” alla vita secondo natura, ma non tutto andrà secondo i suoi piani…

Primo lungometraggio di finzione di Michel Gondry, passato praticamente inosservato in Italia, Human Nature è un’insolita black comedy firmata da Charlie Kaufman che ha tra i suoi pregi la capacità di toccare dei temi tutt’altro che banali con un’arguzia decisamente fuori dal comune. Impostato come un lungo flashback sorretto dalle voci dei tre protagonisti, Human Nature affronta una molteplicità di temi; tra questi, il conflitto natura vs civiltà, l’inessenzialità del linguaggio verbale, la difficoltà da parte dell’essere umano di amare (e di essere amati) andando oltre le apparenze, il conformismo come valore dominante, l’inestricabilità delle pulsioni primordiali, la satira nei confronti delle tecniche comportamentiste. I due protagonisti di Human Nature – lo scienziato Nathan e il selvaggio Derek – sono due personaggi totalmente agli antipodi: umano completamente civilizzato il primo, creatura allo stato brado il secondo, incapace di comunicare a livello verbale ma indiscutibilmente più abile nell’assecondare la propria natura e i propri istinti. Nel mezzo si trova Lila, creatura selvaggia cresciuta in una società fondata sull’omologazione che l’ha emarginata a causa delle sue peculiari caratteristiche fisiche e che l’ha costretta alla fuga nel regno animale, l’unico posto dove sentirsi finalmente liberi, al riparo dagli sguardi giudicanti dei propri simili.

In un certo senso, Human Nature sembra mettere in discussione l’importanza della civilizzazione nell’ambito della storia dell’umanità, o meglio alcune sue aberranti conseguenze che il film di Gondry ha il pregio di sottolineare attraverso il linguaggio surreale che ha sempre contraddistinto la sua cinematografia. L’apporto di Kaufman, d’altronde, non può rimanere inosservato, e lo si nota soprattutto nella brillantezza dei dialoghi e nella profondità psicologica che caratterizza i personaggi principali. Ottimi anche tutti gli interpreti, con una nota di merito a favore di Tim Robbins e del bravissimo Rhys Ifans, tremendamente a suo agio nei panni del selvaggio Derek e capace di tirar fuori un esilarante accento britannico durante i momenti più alti del suo percorso di educazione, mentre la regia di Gondry – pur ricca di trovate sceniche interessanti, come il limbo in cui rimane intrappolato Nathan per tutta la durata del film – è apparsa piuttosto convenzionale rispetto a lavori come Se mi lasci ti cancello o L’arte del sogno. Per Gondry una sorta di prova generale, quindi, ma dai risultati tutt’altro che disprezzabili; chi avrà voglia di recuperarla vi troverà qualche momento di buon cinema.

Autore: Matteo Fabbroni
Pubblicato il 01/03/2015

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