I mercenari 3 - The Expendables

Wesley Snipes fuori dal carcere che dice “Tanta roba” e la redenzione di uno scatenato Banderas dopo le galline del Mulino Bianco

Non si batte il classico” diceva Christmas, il personaggio interpretato da Jason Statham, al termine del secondo, e ad avviso di chi scrive, perfetto episodio de I Mercenari. Arrivato al terzo film della serie, il ricchissimo cast di eroi dell’action statunitense – orfano di Bruce Willis ma rimpolpato da colossi quali Wesley Snipes, Mel Gibson, Harrison Ford e Antonio Banderas – viene guidato da Sylvester Stallone alla ricerca di una via di mezzo tra i toni crepuscolari e malinconici del primo capitolo ed il gioioso strabordare appena un po’ troppo autoreferenziale del secondo. Film – quest ultimo - in cui il confine tra personaggi ed interpreti era sfumato quasi fino all’annullamento identitario (tratto che ha fatto storcere più il naso ai più ma che, a giudizio di chi scrive, rappresenta invece proprio l’elemento centrale e più interessante che investe l’icona action in epoca post-moderna, ovvero il suo dissolversi nei personaggi interpretati).

Sebbene si sia parlato di “via di mezzo” a proposito di questo I mercenari 3 - The Expendables, bisogna pur sempre ricordare che ci muoviamo in territori dove, fortunatamente, l’eccesso è ancora la parola d’ordine e dove quindi non bisogna aspettarsi momenti di stanca o perdita di mordente.

Dopo la sua rinascita autoriale, suggellata dagli ottimi risultati raggiunti con gli ispirati Rocky Balboa (2006) e Rambo (2008), Stallone si è fatto sempre più principale promotore di un ritorno alle origini del cinema d’azione, ricalcando la scuola e il metodo di un tempo per porli in netta ma scherzosa contrapposizione con gli stilemi dell’action contemporaneo.

Si percepisce una nostalgia per prodotti che non avevano bisogno della computer grafica (in questo film utilizzata con parsimonia ma in maniera davvero grezza – si vedano le esplosioni iniziali - quasi incompiuta, come a voler sottolinearne l’artificio e una presunta freddezza) e in cui il principale gancio per conquistare il favore degli spettatori era costituito dalla preparazione atletica degli attori, dalle diverse discipline e combattimenti in cui erano esperti e in una cospicua, sana, dose di mazzate.

Recentemente, forse proprio grazie all’imput di Stallone, sono stati prodotti numerosi film che si ricollegano direttamente ai modi e agli stili dell’action movie statunitense degli anni ’80. Sempre in linea con la filosofia soggiacente a The Expendables è curioso notare come i più riusciti tra questi film (Die Hard 5; l’eccezionale Escape Plan, The Last Stand, Jimmy Bobo – Bullet To The Head) vivano e si strutturino sull’iniziale contrapposizione (sia narrativa che stilistica) tra old school e nuove generazioni, che tende a risolversi con la collaborazione o la fusione delle due, con implicito tributo a quelli che si vorrebbero chiamare “pezzi da museo” in quanto alla fine, quasi sempre, sono “i padri che all’ultimo tirano i figli fuori dai guai”.

La genuinità dell’operazione I Mercenari, e in particolare di questo terzo episodio, non deriva però soltanto dall’eccezionale devozione al fan service in cui Stallone e compagni si prodigano di volta in volta con maggior impegno per soddisfare i fan del genere (l’ingresso di Ford, Gibson e Snipes nel cast avrà senz’altro fatto commuovere più di un cinefilo) ma va ricercata anche in un discorso più complesso sul tema dell’intrattenimento, sul cinema d’evasione (sia il secondo che questo terzo capitolo cominciano non a caso con un evasione da una prigione…) e sulla comicità.

Si, proprio di comicità vorremmo parlare per mettere in risalto l’importanza della sopravvivenza di un tipo di cinema come quello pensato e promosso da Stallone. E’ infatti un dato di fatto che buona parte dei blockbusters statunitensi contemporanei, e pensiamo in particolare alle produzioni Marvel Studios, siano ormai orientati verso un’irritante auto-parodia, una commistione tra poca action e molta demenzialità che altro non denuncia se non la paura di credere nella propria mitologia, soffocati da una disillusione galoppante che al sogno e al cinema puro preferisce la via più sicura della risata, dell’equivoco imbarazzante, del registro “buffo”.

Nella maggior parte delle produzioni action (e non solo) contemporanee tutto è da subito svelato (svilito?), oggettivo, chiuso, senza possibilità d’interpretazione alcuna. Nei film Marvel Studios, come ad esempio in Iron Man 2 e 3 ma anche nei due Thor, la risata si potrebbe ricollegare ad un riso bergsoniano, in quanto si tratta – come spiega Bergson in Riso. Saggio sul significato del comico – di un riso difensivo, un riso che è auto-castigo, atto ad evitare una critica, che devia e bypassa il giudizio e che equivale ad evitare di ammettere qualcosa di spiacevole. Il “buffo” (come l’avrebbe chiamato Carmelo Bene) in questione coincide anche con la frammentazione e dissipazione della messa in scena, portando lo spettatore a ricordare costantemente che chi ha di fronte è soltanto un attore che sta indossando un costume etc. Morale: morte dell’epica.

Ne I mercenari 3, come d’altronde in tutto il cinema che ha raccolto con intelligenza l’eredità dei migliori anni ’80 cinematografici (si vedano gli ultimi Fast and Furious o il film dell’A-Team), l’elemento comico è sempre presente ma si avvicina di più, paradossalmente, alla comicità arguta di cui parla Freud ne Il Motto di Spirito. Il riso freudiano mirerebbe infatti ad un sollievo momentaneo dalle costrizioni esercitate dall’educazione, dalla società, dalla norma ed è quindi una risata liberatoria che permette di scaricare una certa quantità d’energia psichica precedentemente investita nell’inibizione.

E sebbene anche tutti i film de I mercenari siano implicitamente sostenuti da un impianto profondamente metalinguistico, qui la rottura della quarta parete non avviene mai, ed il ricorso allo “spettacolo nello spettacolo” è sempre ben dosato, sfuggente e funzionale al potenziamento iconico degli interpreti coinvolti. I mercenari 3 è difatti, come da tradizione, un film di corpi e maschere; maschere ormai molto più rappresentative e cariche di senso di quelle che gli attori dei comic book movies odierni portano sempre meno sul volto per assecondare il feticismo divistico teso a spostare l’attenzione dal personaggio alla persona.

Fateci caso: in un’opera come Iron Man 2, film inscritto nell’universo del fumetto dove ogni eccezione, eccesso e stravolgimento delle regole fisiche dovrebbe essere permesso e dato per scontato, si tende costantemente a forzare tutto verso un’improbabile realismo (tutto è spiegato e viene sottolineato più volte che la magia non è altro che scienza) mentre in un film come I mercenari 3 (ambientato fino a prova contraria nel mondo “reale”) le normali regole non esistono – perché le regole del cinema non dovrebbero quasi mai aderire a quelle della realtà - i personaggi “umani” possono fare cose in proporzione ben più incredibili dei loro colleghi con i superpoteri senza però sentire il bisogno di spiegare nulla o autoparodiarsi costantemente. Questa si chiama sospensione dell’incredulità, questa si chiama mitologia, questo si chiama cinema; il cinema che fa ridere di gusto come quando si era piccoli di fronte ad un’esplosione, il cinema che non va “capito” ma solo “sentito” come i ceffoni che Gibson e Stallone si danno nello straordinario finale del film, insomma il cinema che non da risposte e picchia duro, ma con stile.

Autore: Tommaso Di Giulio
Pubblicato il 02/09/2014

Articoli correlati

Ultimi della categoria