La scena clou de I segreti di Osage County avviene a metà film ed è un’estenuante sequenza lunga venti minuti, elaborata sul topos melodrammatico del grande pranzo di famiglia come graduale ed esplosiva rivelazione dei sentimenti che albergano nei singoli componenti. Una frase o un bicchiere di troppo, le accuse e le urla che lentamente salgono di volume fino allo scontro fisico finale; la confessione violenta di rancori mai sopiti, vomitati all’interno di quel nucleo che nelle intenzioni dovrebbe rappresentare invece un rifugio caldo e intimo dalle aggressioni del mondo esterno; trattasi di un classico espediente narrativo utile a disgregare ogni residua idealizzazione dell’ambiente familiare quale nido premuroso pieno di amore. In un racconto teso ad esprimere un’idea più che una storia vera e propria è facile che i personaggi vengano tratteggiati in modo stereotipato per meglio assegnare le parti del dramma, ma non perciò si deve intendere tale artificio in senso negativo se rapportato all’esito finale, che nel caso del film – tratto da una pièce teatrale – di John Wells è un ottimo esercizio di descrizione dei rapporti tossici che possono instaurarsi nel parentado.
Meryl Streep è Violet Weston, una donna avanti con l’età malata di cancro e dipendente dalle pillole, intorno alla quale si riuniscono tutti i parenti, le tre figlie e la sorella con marito e figlio in occasione dell’improvvisa morte, durante un’estate rovente, del vecchio marito alcolizzato (Sam Shepard). I legami fra i membri della famiglia sono complessi e trasversali, ma ognuno di loro risponde a un particolare ruolo: Barbara (Julia Roberts) è la figlia forte e indipendente che se ne è andata di casa e ha messo su famiglia, diversamente dalle sorelle Caren (Juliette Lewis), all’eterna ricerca dell’uomo giusto, mentre Ivy (Julianne Nicholson), gentile e senza pretese, è considerata la meno brillante delle tre. In occasione della morte del padre la circostanza richiederebbe raccoglimento e calore, ma Violet, confusa dal numero di pasticche che ingurgita ad ogni ora, non può fare a meno di lanciare frecciate sempre più velenose alle proprie figlie sul loro aspetto e i loro fallimenti, fino a scatenare violente reazioni da parte di tutti e, a catena, rivelazioni inattese.
La vita di Violet, da un’infanzia misera con una madre crudele al lungo e difficile matrimonio con il marito, è l’esemplificazione di come l’esistenza non sia composta da eventi che si succedono linearmente l’un l’altro ma che invece si stratificano nell’animo dell’individuo fino a farne un complesso abisso di emozioni che pesa sulle relazioni umane, infrangendo il mito dei legami amorosi – fra partner, genitori e figli, parenti – come qualcosa che possa essere unicamente bello e buono. Amare può significare anche distruggere o ferire quando questo è ciò che è stato insegnato da piccoli, e in mezzo sta anche la gelosia, la paura di rimanere soli e il risentimento provocati dal non voler parlare ad alta voce e smuovere le acque; solo che a furia di tacere o si muore soffocati dalle parole nascoste in gola o si urla tutto quanto insieme in una volta sola. Violet è una drogata disperata, fragile, che sragiona sull’orlo dell’esaurimento senile, ma è anche matriarca lucidissima ed inesorabile che tutto vede e comprende poiché, come dice essa stessa, non le sfugge “mai niente” delle debolezze di chi le sta di fronte; e in lei si rispecchia la figlia Barbara che ne possiede la stessa inflessibile durezza, attenuata però da una profonda malinconia che fa capolino nei momenti di solitudine. Come nel recente Nebraska, anche I segreti di Osage County si perde in esterni di lunghe pianure solitarie il cui spazio vuoto sembra dilatarsi fino a sommergere chi vi abita, ma se il bianco e nero del film di Payne lascia spazio alla tenerezza di un contatto tardivo fra genitori e figli fino ad allora sconosciuti uno agli occhi dell’altro, qui i colori accecanti delle radure dell’Oklahoma ormai bruciate dal sole raccontano di animi troppo inariditi per poter perdonare il dolore sofferto. Se lacrime ci saranno, avranno solo il sapore amaro della sconfitta.