Il ragazzo invisibile

La grande scommessa di Gabriele Salvatores in un film transmediale capace di guardare ai ragazzi e di dialogare con il nuovo filone del cinecomics.

Potrà avere i suoi difetti e i suoi inciampi, ma Il ragazzo invisibile di Gabriele Salvatores non è solo uno dei film italiani più importanti dell’anno, ma anche un’opera cui è giusto augurare un grande successo in sala, sperando che dopo gli splendidi incassi ottenuti da Il giovane favoloso il film possa darci un altro segnale di come il pubblico italiano stia finalmente, lentamente mutando. Le ragioni di ciò sono principalmente tre, e riguardano la portata della scommessa tentata dalla Indigo Film e da Rai Cinema, che ha sostenuto con forza il progetto assegnato a Salvatores.

La prima ragione consiste nel fatto che Il ragazzo invisibile è un film esplicitamente per ragazzi, considerazione apparentemente banale ma invece fondamentale per capire come Salvatores e la sua squadra di sceneggiatori (Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Stardo) si siano approcciati al materiale supereroistico. I protagonisti del film infatti sono ragazzi più piccoli non solo degli eroi canonici ma anche delle eccezioni come Kick-Ass. Alla prospettiva più puberale dei due film tratti dai fumetti di Mark Millar, Salvatores risponde con una storia più infantile, nel senso di ancorata all’abbandono dell’infanzia verso una fase non ancora adulta ma comunque più dura e complessa della vita. Michele, il protagonista de Il ragazzo invisibile, è un teenager di 14 anni significantemente alle prese con l’ultimo anno delle medie, il passaggio dall’infanzia alla vera e propria adolescenza. Questa prospettiva permette al film di Salvatores di essere il riuscito esponente di un cinema dignitosissimo ma pressoché ignorato dalla nostra cinematografia, ovvero quello dedicato ai ragazzi, e con loro alle famiglie. Al dinamismo esplosivo e digitale dei cinecomics hollywoodiani Il ragazzo invisibile risponde necessariamente, ma con molta intelligenza, con maggior sensibilità e intimità nei confronti dei suoi personaggi. La volontà di narrare una storia sì d’azione ma anzitutto emotiva traspare chiaramente dalla scelta del superpotere ottenuto da Michele, l’invisibilità. L’adolescenza infatti è quell’infido terreno in cui si può soffrire poiché ci si sente invisibili, e allo stesso tempo desiderare effettivamente di esserlo. Michele, tormentato da alcuni suoi compagni e segretamente infatuato della nuova arrivata in classe, è il perfetto punto di immedesimazione per una fascia di pubblico che il nostro cinema quando va bene ignora e quando va male tratta come deficienti. Raccontare gioie e dolori della prima adolescenza, le prime curiosità sessuali, i dubbi sulla propria identità e sul proprio ruolo nel mondo, sono cose troppo importanti per lasciarle fuori dal nostro cinema, o peggio solo nelle mani di certi affabulatori da due soldi.

La seconda ragione, consequenziale alla prima, è la lapalissiana natura supereroistica del film. Oltre ad essere un’opera per ragazzi Il ragazzo invisibile è infatti un film fantastico con protagonisti dei supereroi, praticamente fantascienza per il nostro cinema. Grazie al suo team rigorosamente italiano, Salvatores dimostra invece che, seppur virando nella suddetta chiave intimista, questo cinema in Italia si può (e si deve) fare. Dal punto di vista strettamente tecnico Il ragazzo invisibile non difetta in nulla, dagli ottimi effetti speciali (ovviamente calibrati all’operazione) alla struttura narrativa del racconto. Il ragazzo invisibile infatti ha la giusta ambizione di essere il primo capitolo di un percorso, e in quanto tale il film segue pedissequamente tutte le tappe della formazione dell’eroe, per quanto in piccolo. Il giovane Michele impara così ad affrontare paure e abbandoni, cresce imparando lentamente l’amore e l’assioma più antico di tutti, le grandi responsabilità del potere. Una classicità di racconto che sicuramente scopre il fianco alla noia e ad una certa prevedibilità, ma che tuttavia si riscatta nell’aver trovato comunque una sua strada più personale con la particolare attenzione dedicata all’adolescenza. Dove rischia il film è nell’accontentarsi di questo e di lanciare uno dopo l’altro i riferimenti più canonici allo spettatore complice (dal simbolo nel cielo alla bettola cinese dei Gremlins), lasciando la svolta narrativa più emozionante e avvincente per il finale (ed eventualmente ciò che ne seguirà).

Immagine rimossa.

Per quanto riguarda Salvatores invece, sicuramente a lui si deve la riuscita generale del tutto e il coraggio di continuare a mettersi in gioco senza sosta. Un coraggio che dopo l’harakiri professionale di Happy Family e gli inciampi di Educazione siberiana trova qui un terreno più congeniale, nel quale giocare e sfidarsi a filmare l’invisibile. Dove inciampa Salvatores è ancora nella gestione delle sequenze più d’azione, che difettano gravemente di ritmo ed energia e abbondano invece di un’inutile enfasi visiva e musicale (era questo uno dei grandi problemi di Educazione siberiana). Anche lo sguardo ai più piccoli funziona ma lascia suggerire che qualcosa in più poteva essere fatto, che magari restituisse maggiormente la magia e il loro sense of wonderper l’esperienza supereroistica. Tuttavia nell’insieme il film risulta solido e ben costruito, nonostante i suoi problemi interni.

La terza ragione che rende importante Il ragazzo invisibile è il suo essere, finalmente, un’operazione trans-mediale pensata per evolvere ed espandersi in diversi ambiti artistici. Grazie alle preziose collaborazioni con Panini e Salani Editori il film si colloca al centro di una rete comunicativa che vede al suo attivo la realizzazione di un romanzo e di un breve fumetto, scritto da Diego Cajelli e disegnato da star del fumetto internazionale come Alessandro Vitti, Giuseppe Camuncoli e Werther Dell’Edera. Affidare porzioni di storia a questi mezzi infatti non significa soltanto espandere la vicenda ma renderla un format capace di crescere industrialmente e culturalmente. Operazioni di questo genere sono la colonna portante dell’entertainment americano, e vederle realizzate anche in casa non può che suscitare il nostro entusiasmo.

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 02/12/2014

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