Hold the Dark
Il brutale ritorno di Jeremy Saulnier dietro la macchina da presa colora di una violenza imprevedibile e alienante l'offerta originale di Netflix.
Potrebbe quasi ricordare i primi minuti di The Witch, con quel bosco incombente che pare mangiarsi, metro dopo metro, la civiltà, mentre un bambino scompare, come per magia, sotto i nostri occhi, la sequenza iniziale dell'ultima fatica di Jeremy Saulnier, esplicito trionfo di un orrore giocato, proprio come la pellicola Robert Eggers, interamente sul terreno dell'ambiguità. Ambiguo, d'altronde, lo è sin dal titolo, un film come Hold The Dark: incerto com'è se tenerla lontana, quell'oscurità, o accoglierla e portarla con sé.
Si è sempre situato tra questi due estremi, in fondo, il cinema di Saulnier, un cinema ambivalente capace di mantenersi rarefatto anche alla luce del sole, anche a dispetto di un rigore formale ed espressivo sempre forte e presente. Dopo Blue Ruin e Green Room, la terza tappa del viaggio cromatico nell'orrore quotidiano del regista statunitense non può allora che tingersi di nero, terminando un affresco sulla violenza capace di raggiungere vette di cupezza impensate persino per un autore tanto avvezzo al Male e alle sue più subdole degenerazioni.
Lontano dai sobborghi di quella provincia americana fotografata con distacco e senso del grottesco nei film precedenti, è con le distese innevate e con le foreste dell'Alaska che si confronta, questa volta, il sempre più gelido sguardo di Saulnier, tingendo di sangue, rabbia e follia l'ennesima storia di (anomala) vendetta. È qui, nello sperduto villaggio di Keelut, sorta di ultimo avamposto dell'umanità, tra lupi che rapiscono bambini e uomini che si trasformano rapidamente in bestie, che prende piede un thriller glaciale dall'anima noir e dai risvolti orrorifici, dove la ragione muore lentamente e all'uomo non resta che aggrapparsi a un ritualismo sanguinario dal sapore ancestrale.
Partendo per la prima volta da un soggetto non originale (l'omonimo romanzo di William Giraldi, adattato per lo schermo dal sodale Macon Blair), il regista raggiunge, paradossalmente, la summa della propria poetica, il distillato di uno sguardo capace di calarsi, con fredda e spietata consapevolezza, nel cuore di tenebra dell'animo umano. Per farlo ricorre a un senso di angoscia opprimente e malsano, tra inquadrature costruite con perizia e un ritmo lento ma implacabile, dove la violenza esplode brutale e, altrettanto brutalmente, torna nell'ombra.
Pare essere fatto della stessa sostanza dei suoi luoghi, del resto, l'orrore di Hold The Dark, dalle atmosfere mortifere del deserto mediorientale (dove si consuma un breve quanto illuminante antefatto) fino all'animalità omicida delle foreste del profondo Nord, come se tutto fosse intriso dello stesso senso di fine imminente o come se, forse, la fine fosse già arrivata e niente fosse bastato a salvarci da quell'oscurità che tutto avvolge e tutto prende. Continuando quel gioco cominciato oramai un decennio fa con Murder Party, Saulnier porta avanti la sua personalissima destrutturazione di generi e immaginari, costruendo un cinema spiazzante che, a partire dalla sua stessa idea di vendetta, sovverte codici e ribalta modelli consolidati, salvo poi ritrovarli, intatti, in momenti che esplodono con tutta la forza di una rivelazione.
Non è un caso che sia allora proprio una sparatoria, con le sue dinamiche spietate e la sua geometria rigorosa, il fulcro stesso del film, un nucleo spettacolare di morte e distruzione attorno a cui ruota, silenzioso, un dramma antropologico popolato da individui apatici (un gelido Alexander Skarsgård) e totalmente smarriti (un Jeffrey Wright perfetto per il ruolo), dove nemmeno l'umorismo nerissimo del regista riesce più a trovare posto, annullato com'è da un mondo in cui regole, valori e morale non hanno più senso e la violenza, al di là di qualsiasi previsione o aspettativa, sembra l'unica realtà possibile.
Respingente, disperato, intriso di un'accettazione della morte quasi ascetica, Hold The Dark è un prodotto dal fascino perturbante, indifferente e sanguinario come gli spazi e i rituali che mette in scena, disorientato e privo di risposte come l'umanità che lo abita. Un film la cui visione, piaccia o meno, non può non lasciare indifferenti, attratti e respinti a un tempo da quel Male assurdo e tremendamente ambiguo.