Stanlio & Ollio
Il film di Jon S. Baird racconta il crepuscolo artistico di Stanlio e Ollio e lo fa attraverso l'invisibilità di una regia classica in grado di restituire la forza del mito.
Non c'è niente di più triste dell'ultimo commiato che giunge alla fine di un lungo e duraturo rapporto di amicizia. In fin dei conti, è proprio il rapporto umano tra i due protagonisti il cuore pulsante di Stanlio & Ollio, diretto da Jon S. Baird e scritto da Jeff Pope, lo sceneggiatore di Philomena. I volti e i corpi di Steve Coogan e di John C. Reilly hanno l'ingrato compito di caricare su di sé l'eredità di due miti dell'immaginario collettivo: Stan Laurel e Oliver Hardy, più noti, in Italia, con i nomignoli di Stanlio e Ollio. Prima di ogni altra cosa, è opportuno soffermarsi sulle interpretazioni dei due attori, le cui paralizzate smorfie di tristezza contribuiscono a rendere autentico il tono crepuscolare che pervade il film per tutta la sua durata.
Fin dall'inizio, infatti, ambientato nel 1937, anno in cui Stanlio e Ollio sono all'apice della carriera e ancora sotto contratto con Hal Roach, serpeggia un velo di malinconia, come se i fantasmi dell'invecchiamento e della stanchezza avessero iniziato ad agire anzitempo. Coogan e Reilly vivono sulla scena come un corpo solo, un po' come i due mostri sacri della comicità che impersonano, dando vita ad una particolare sinergia che vive delle reciproche inadeguatezze. Dopo il prologo ambientato negli anni '30, si vola al 1953, anno in cui Laurel e Hardy, sopra i sessant'anni e ormai lontani dalle scene, partono per un tour teatrale in Gran Bretagna con la speranza di rinverdire il loro successo e di girare un nuovo film su Robin Hood. Il pubblico delle esibizioni è tristemente esiguo ma la loro arte riesce ancora a risplendere nelle risate degli spettatori. Tuttavia, fantasmi mai sepolti e i problemi di salute di Oliver minacciano il sodalizio, conducendo all'inevitabile declino umano, fisico e professionale.
Stanlio & Ollio è un biopic esemplare, frutto di un attento lavoro attoriale e di scrittura. Il viale del tramonto appassionato si unisce all'omaggio all'arte comica del duo attraverso una ricostruzione minuziosa del metodo delle gag. Il racconto del peregrinare per l'Inghilterra di Stan e Oliver non può fare a meno di soffermarsi su tutte le presunte situazioni comiche extra-scena, individuando proprio in esse il nucleo primordiale di alcuni sketch del duo. Le trovate della coppia sembrano sempre nascere dalla casualità e da un lampo improvviso che minaccia di scatenare tutta la propria vis comica. Nella sua invisibilità, il decoupage classico sa bene come creare un'operazione sentita e commovente che restituisca i tocchi candidi e la magia di una coppia senza tempo.
Il naturale ed indispensabile contraltare ai tanti momenti comici è la presenza di un senso di disperazione che scaturisce proprio dalla consapevolezza della caducità. Il racconto, in fin dei conti, porta in scena un commiato all'arte e alla vita, un silenzioso addio da nascondere persino a sé stessi. Non era affatto semplice ottenere un insieme così significativo e denso a livello emotivo. Eppure, è proprio grazie alla sua classicità e coerenza che è possibile abbandonarsi ad un film che bagna gli occhi e riscalda il cuore, convenzionale nella struttura ma in grado di restituire la forza dell'immaginario.