Pelikanblut (Pelican Blood)

di Katrin Gebbe

L’opera seconda di Katrin Gebbe è un coraggioso horror familiare che ha l’ardire di credere ciecamente nella forza irrazionale della paura e dell’amore.

Pelican Blood

Il pellicano resuscita i cuccioli col proprio stesso sangue: dai retaggi cristiani - tracce iconografiche di un passato che non muore mai - alla magia nera il passo sembrerebbe enorme, eppure tutto è possibile nell’opera seconda di Katrin Gebbe.

Pelikanblut (Pelican Blood) inizia come un dramma familiare con mamma Nina Hoss che vive insieme alla figlia adottiva in un allevamento di cavalli. Accoglie in casa la piccola Raya, bambina dal passato traumatico, e fin da subito le dona un amore incondizionato. Ma – come da tradizione – lo sguardo della bambina si fa oscuro, inquieto, custode di segreti inconfessabili. Gradualmente si insinuano tutti i tasselli del più classico degli horror familiari: morsi, schiaffi e dispetti crudeli, terribili disegni sulle pareti, incendi falliti, grida in stile Friedkin, deviazioni scatologiche e il solito armamentario da bimbo malefico.

Pelican Blood ci fa credere, per qualche istante, all’improbabile medico di turno che dispiega tutte le diagnosi psicologiche del caso. Pensiamo di aver inquadrato il film quando ci viene detto – parole, parole, parole! – che  la piccola Raya non prova sentimenti, non conosce né odio né amore. Da quel momento Pelican Blood sembrerebbe procedere in modo programmatico. La madre, come il pellicano del titolo, tenta di far rinascere Raya: le dona tutto l’amore del mondo, la allatta come una neonata, si prende cura della bimba in modo tanto estremo da sfiorare la patologia. L’amore materno, si sa, non conosce confini. Ma poi, all’improvviso, il film inverte la tendenza, scopre che c’è qualcos’altro. Qualcosa che non può essere detto né dimostrato, qualcosa che eccede la teoria e lascia emergere un mondo sommerso e primordiale, quello dei riti e della magia, dei mostri che ci abitano e dei diavoli che non ci hanno mai abbandonati. Esiste un resto e questo resto ritorna finalmente al centro.

Improvvisamente Pelican Blood si fa beffe delle piste costruite fino a quel momento, perfino della relazione amorosa che avrebbe potuto salvare la donna. Si fa beffe delle analisi scientifiche, delle ipotesi cliniche, della logica medica e trasforma la maternità in un viaggio nel tempo.

Pelican Blood ci proietta in un mondo arcaico e notturno dove riaffiorano, come in sogno, antichi rituali dimenticati. Con afflato pagano, il film scivola nei territori oscuri dei culti e delle streghe, degli incantesimi e dei demoni che abitano la carne. Smette di inquadrare il male e si fa piuttosto esperienza del male. Katrin Gebbe  ha il coraggio di disattendere le aspettative, di sfidare il buonsenso, di prendersi il suo tempo – che è un tempo altro, sospeso, malato - ricercando le radici di un genere – l’horror – che troppo spesso ha lasciato fuori casa il suo stesso germe fondativo: l’irrazionale.

Pelican Blood fa del fuoricampo il regno privilegiato del mistero e del soprannaturale, perché il diavolo è invisibile ma si congela negli occhi di chi guarda (magnifici i tre ralenti che suggellano il film prima delle dissolvenze incrociate: lo sguardo contamina il mondo, gli occhi sono il vero agente patogeno, la matrice di ogni orrore). Imprevedibile, Pelican Blood fugge via dalle zone di comfort, diventa film inatteso e un po’ spregiudicato, che non cade nella provocazione grand guignol ma lavora sapientemente sulle atmosfere che lentamente ci avvolgono e spaventano. La paura ritorna a popolare la foresta: nel bosco della nostra infanzia la scienza non può nulla. La mente della bambina diventa un labirinto impossibile da decodificare mentre il corpo si fa ricettacolo del male. L’esorcismo non basta, bisogna tornare al sacrificio animale e alle antiche logiche tribali, al voodoo e alla magia nera. E, soprattutto, bisogno crederci. Pelican Blood in fondo parla di questo: dell’amore come insindacabile atto di fede, gesto esemplare di rivolta a un tempo – il nostro – che ha smesso di credere a tutto ciò che è incredibile. Solo quest’ennesima mother cinematografica può vincere il male perché lei vede le cose che solo i bambini vedono.

Autore: Samuele Sestieri
Pubblicato il 28/08/2019
Regia: Katrin Gebbe
Durata: 121 minuti

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