Belfast

di Kenneth Branagh

L'ultimo film di Kenneth Branagh è un viaggio sentimentale in un mondo filtrato dalla memoria; la sua Belfast è un microcosmo utopico che cristallizza la bellezza e la dona al nostro immaginario collettivo.

Belfast - recensione film Branagh

Che colore e che forma assume la memoria?
Il viaggio lungo le strade stranianti e immaginarie di Belfast – il nuovo progetto scritto e diretto da Kenneth Branagh – mostra una città oggi in trasformazione, a colori e, quindi, riappacificata. Un dolly scavalca un muro e ci immerge nell’atmosfera tumultuosa degli anni Sessanta nella capitale dell’Irlanda del Nord. Questo viaggio nella memoria – e nei luoghi immaginati da un bambino di 9 anni – necessita del filtro fotografico/mnemonico del bianco e nero per sottolineare lo slittamento temporale e sentimentale.

Belfast racconta la storia di Buddy che, nel 1969, vive con la famiglia e il fratello maggiore in un quartiere misto, abitato da protestanti e cattolici. I due gruppi religiosi sono vicini di casa, amici e compagni di scuola ma, nonostante ciò, c’è chi alimenta il fuoco della rivolta e prova a infrangere la pace della comunità. In estate deflagrano i primi tumulti – The Troubles – che avrebbero portato a un ventennio di quello scontro che contrappose gli Unionisti protestanti e i Nazionalisti cattolici dell’Irlanda del Nord tra gli anni Sessanta e i Novanta.  La famiglia di Buddy evita di prendere parte a queste manifestazioni violente e attende con ansia il ritorno quindicinale del padre, che lavora come carpentiere a Londra. Fuggire ed emigrare a Londra per cercare una vita più pacifica in Inghilterra è una forte tentazione; per Buddy, però, abbandonare il quartiere natio, i nonni e Catherine, il suo primo amore infantile, viene visto come qualcosa da evitare a tutti i costi.

Nell’ultimo film di Kenneth Branagh, la memoria assume la forma di scene e personaggi: sono loro il cuore pulsante dell’impianto cinematografico quanto, allo stesso tempo, teatrale di un racconto girato su un set ricostruito su una pista dell’aeroporto di Farnborough, in Inghilterra. Quest’operazione dissonante in grado di accostare un atteggiamento affettuoso e nostalgico e una tipologia di messa in scena straniante – e, a tratti, alienante – è legata alla volontà del regista di evitare di rimanere confinato alla verità dell’autobiografia cinematografica e di costruire un reticolo di strade filtrato dal forte punto di vista del bambino protagonista, che spunta ai margini dell’inquadratura, in profondità di campo o dietro a una finestra.

Buddy ama andare al cinema e a teatro – è proprio tra quelle ombre che l’oggetto del suo sguardo abbraccia un’esplosione cromatica –, vedere western in TV, giocare a pallone con gli amici, parlare con i nonni e leggere Thor. Belfast è la storia dell’estate che ha cambiato la vita di Buddy, di quello che gli è rimasto dentro anche se l’esistenza lo ha condotto altrove, di un microcosmo utopico che diviene sineddoche di un’intera città. A fare da contraltare alla penuria dei mezzi – una strada, qualche appartamento e pochi oggetti – sono i personaggi con il loro ricchissimo vissuto, famiglie e comunità perdute da ricordare con rimpianto e amore. È così che Branagh cristallizza la bellezza e affida ai nostri racconti il dono di sopravvivere e di ri-mediare continuamente le esperienze trascorse – deposito di immaginario da custodire per perseguire la bellezza ed evitare che gli errori della Storia possano tornare a ripetersi.

Autore: Matteo Marescalco
Pubblicato il 09/03/2022
Regno Unito 2021
Durata: 97 minuti

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