Kingsman - Secret Service

Tra parodia e tributo, Matthew Vaughn firma il suo personale omaggio al cinema spionistico classico, occasione per tornare ancora una volta a riflettere sul rapporto d'azione tra cinema e fumetto

Che Matthew Vaughn fosse un amante dei film di spionaggio si era già capito dal Magneto interpretato da Michael Fassbender in X-Men – L’inizio, sorta di elegante e letale 007 a caccia di nazisti in giro per il mondo.

Tuttavia che questa passione potesse convincerlo ad abbandonare la regia dell’atteso X-Men – Giorni di un futuro passato per dedicarsi totalmente a Kingsman – Secret Service è tutt’altro par di maniche. Tuttavia la sorpresa svanisce nel corso della visione del nuovo film firmato da Vaughn, che muovendosi nel solco dell’omaggio dissacrante al genere spionistico riesce a realizzare un film entusiasmante e riuscito, perfettamente in linea con il precedente Kick-Ass ma ancora più estremo nel tentativo di dare una rappresentazione cinematografica alla cinetica cartacea del fumetto. Del resto oggi Vaughn è il solo regista assieme ad Edgar Wright a lavorare con criterio e successo crescente sul rapporto anzitutto estetico tra cinema e fumetto. Kingsman in tal senso regala, oltre a diverse singole scene nel corso della narrazione, una lunga sequenza di combattimento che è a dir poco programmatica, esplicitamente sperimentale nel tentativo di sfruttare la stilizzazione estrema del movimento e dell’azione in senso grafico. Dove Wright lavora di montaggio a strappo e improvvisi movimenti di macchina, spesso “impossibili”, Vaughn invece cerca di avvicinarsi alla carta attraverso la resa plastica del corpo in movimento, un approccio apparentemente contraddittorio ma che invece funziona nel rendere lo spessore iconico dell’azione fumettistica.

Tratto da un fumetto ideato dallo stesso Vaughn assieme all’autore Mark Millar, Kingsman è in realtà una forte rielaborazione del materiale originale, che perde lo pseudo-realismo della sua ambientazione a favore di una scrittura volutamente fantastica e sopra le righe, ammiccante verso lo spettatore con fare tipicamente postmoderno ma anche capace di costruire autentiche sequenze di cinema d’azione.

Ancora una volta il riferimento più immediato sembra essere il cinema di Edgar Wright, l’unico regista occidentale capace di lavorare su di una parodia che non disinnesca mai il genere di riferimento, restituito anzi con una potenza e una coerenza che nulla a da invidiare ai film più canonicamente appartenenti a tale genere. Tutta la Trilogia del cornetto lavora in tale direzione, un genere alla volta viene omaggiato e riportato a nuova vita attraverso una parodia costruttiva solo apparentemente dissacrante. Con Kingsman Vaughn cerca di realizzare chiaramente qualcosa di simile, volendo opporre alla deriva dark e seriosa di un certo cinema d’azione gli stilemi più classici e tradizionali del genere spionistico, rinforzati della loro natura finzionale e reinventati all’insegna di un amore tanto filologico quanto parodico. Il risultato purtroppo, diversamente da quanto accade sul piano strettamente formale, non convince appieno, l’equilibrio tra i registri narrativi viene spesso sacrificato a favore di un umorismo troppo demenziale e pericolosamente vicino allo sberleffo stile Marvel (non a caso incarnato dall’attore simbolo Samuel L. Jackson). Ci sono anche diversi momenti in bilico nei quali i personaggi svelano sfacciatamente la natura finzionale dell’operazione, un ammiccamento che ormai ha poco da dire ma che comunque nasce da una passione sincera e giocosamente infantile per la macchina cinema. Del resto è questo il senso profondo dell’operazione Kingsman, guardare allo 007 fatto di gadget, spie e cattivi sopra le righe con folli piani di distruzione globale, e restituire tale mondo con atto di cieca fiducia nel potere mitopoietico del cinema, di quel cinema che al realismo e al dramma preferisce una fiera psichedelica di teste che esplodono come tanti fuochi d’artificio.

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 26/02/2015

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