Decalogo - Dieci

di Krzysztof Kieślowski

Non desiderare la roba d'altri

 Decalogo 10 Dekalog 10 Kieslowski

All’inizio di Decalogo 10, un uomo incravattato si muove stentatamente tra la folla di un concerto punk, cercando di richiamare l’attenzione del cantante della band che si sta esibendo in quel momento, i City Death. Mentre si avvicina sempre più al palco sentiamo diegeticamente le parole della canzone interpretata dal frontman, Artur, che poi si scoprirà essere il fratello minore di Jerzy, l’uomo venuto a cercarlo per avvisarlo della morte del padre: “Uccidi, uccidi, uccidi/fotti chi vuoi/lussuria e brama/travia e corrompi/ogni giorno della settimana/la Domenica colpisci la madre/colpisci il padre, il fratello, la sorella, il più debole/E ruba dai più miti/Perché ogni cosa è tua/Sì, ogni cosa è tua”.

Non è difficile scorgere in questo brandello di testo un provocatorio e, per certi versi ironico, ribaltamento dell’ethos biblico scolpito nei comandamenti, un esplicito incitamento alla trasgressione delle leggi cristiane già pesantemente disattese, tra dubbi, sensi di colpa e pentimenti, dai personaggi che avevano animato gli altri mediometraggi del Decalogo di Kieślowski. A cambiare, in questo episodio finale, sembra essere infatti il tono del racconto che, per quanto fosco e ferale, si abbandona ad una punta di ironia rispetto al mood cupo e austero in cui è immerso il resto dell’opera televisiva del regista polacco.

I due fratelli, pur squattrinati, sbalestrati, privi di solide prospettive, non sembrano prendere troppo sul serio la morte del padre, le proprie responsabilità e la loro stessa vita, nei confronti della quale si pongono con un atteggiamento a metà strada tra la rassegnazione e la consapevolezza che persino al peggio ci sarà sempre una soluzione. Anche la loro improvvisa cupidigia per il valore economico rappresentato dalla preziosa collezione di francobolli paterni è risibile, per quanto appare stonata e contraddittoria rispetto alla loro miope, ottusa sottovalutazione iniziale – per non dire piena svalutazione – dell’eredità.

Come se non bastasse, questa avidità, questa ingordigia del possesso, stigmatizzata nell’ultimo comandamento che dà corpo a Decalogo 10, fa precipitare i due fratelli in una vera e propria ossessione per la roba e per la salvaguardia della proprietà, rendendoli bergsonianamente ancora più comici, presi come sono, nella inelasticità, nella fissazione, nel meccanicismo. Tutte cose che Bergson indicava come motori del riso nel suo celebre saggio. Il loro essere assorbiti completamente dal pensiero intrusivo e alienante della materia, del suo possesso, i loro comportamenti egocentrici e antisociali si traducono in un’assenza mentale, in una distrazione dai loro obblighi umani e sociali (Jerzy nei confronti della famiglia, Artur nei confronti della band) che frena il progredire delle loro esistenze, costringendoli a girare e rigirare attorno alla stessa cosa.

Se la vita è un flusso continuo di percezioni, pensieri e risposte (nel senso di reazioni-azioni), con l’introduzione di una soverchiante e immutabile idea – in questo caso il desiderio incontrollato di qualcosa che abbia valore materiale – gli eventi e i personaggi perdono la consapevolezza del loro corso, del loro fluire, e la vita assume i contorni di un’infinita ripetizione, come nella rappresentazione tipica delle commedie. 

Del resto è Kieślowski stesso ad aver spiegato, pochi anni dopo la messa in onda del Decalogo, che esso non è altro che un tentativo di narrare storie di personaggi che dopo essere rimasti intrappolati in una difficile battaglia personale, si rendono improvvisamente conto di muoversi in cerchio, di allontanarsi da ciò che profondamente desiderano. E cosa vogliono, Jerzy e Artur, se non la libertà, la quiete per poter andare avanti? Il loro errore, il bug, è quello di cercarle nella stabilità materiale, nella proprietà, nel denaro. Ma così facendo scontano e ripetono il peccato paterno, la cui vita, riassunta succintamente nel discorso funebre all’inizio del film, è stata di accumulazione e isolamento, un dramma privato non diverso da quello che caratterizza tutti i personaggi del Decalogo, isolati l’uno dall’altro, chiusi negli appartamenti dei grandi palazzoni periferici che  Kieślowski  ripropone lungo tutta la sua opera. Decalogo 10 parodia l’idea stessa dei peccati originari dei padri, finché i due fratelli non si rendono conto, dopo imbrogli, tradimenti, sospetti e rapine, che la loro eredità più preziosa è proprio il loro attaccamento filiale.

Ecco allora il riso finale che chiude l’episodio e l’intero Decalogo, questa risata liberatoria di due fratelli ritrovati, testa contro testa, mentre i francobolli da pochi zloti che hanno acquistato dopo aver perso la collezione paterna, privi di valore materiale ma segni tangibili di una nuova, vera passione filatelica contrapposta al semplice calcolo precedente e sorta sulle ceneri del passato, svolazzano come carte non più intrise di ossessione.  

Ciò che Artur e Jerzy hanno imparato viene rivelato soltanto quando i titoli di testa cominciano a scorrere e sentiamo la stessa canzone punk dell’inizio, le cui parole sono però completamente cambiate: “Oscurità, anarchia e menzogne tutta la settimana. Tu sei l’unica speranza, l’unica luce in fondo al tunnel. Perché tutto ciò che sta attorno a te è dentro di te. Tutto ti appartiene!”.

Autore: Domenico Saracino
Pubblicato il 24/02/2021
Polonia 1989
Durata: 57 minuti

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