Spesso il ruolo del regista è stato descritto in termini divini, come un grande demiurgo che ricrea in scala ridotta l’universo e in quella miniatura agisce controllando e prevedendo, creando. In certi casi il parallelo risulta particolarmente vero, specie se lo sguardo del regista si pone in alto rispetto ai vari personaggi, in una relazione verticale, deterministica; altre volte quel rapporto, tra chi guarda e chi viene guardato, si sviluppa in orizzontale, nella condivisione e comprensione della condizione umana piuttosto che nella sua riproduzione. Nel progetto del Decalogo la presenza di Dio è spesso sottotraccia, punto di fuga di una situazione che è anzitutto dilemma etico e morale, ma del divino Krzysztof Kieślowski ha una delle caratteristiche fondanti: l’amore, assoluto, per tutte le sue creature. «Ogni essere umano ha qualcosa per cui essere amato», dice nel quarto episodio un insegnante di recitazione, e volendo riassumere il progetto capolavoro del regista polacco potrebbe bastare questa, come frase, per sottolineare quanta compassione e pietas vi sia nei dieci frammenti e ritratti umani formalizzati dagli episodi. Di questa galleria il terzo, Ricordati di santificare le feste, è forse il più rarefatto e sospeso, un lungo tutto in una notte sostenuto da stazioni dantesche, confronti coi perduti e i dannati, impulsi autodistruttivi, il tutto diluito in un orizzonte nevoso di liquida solitudine.
La festa che fa da innesco al racconto è quella della Vigilia, che il tassista Janusz si appresta a trascorrere con la sua famiglia dopo essersi travestito da Babbo Natale. Alla messa serale però il suo sguardo incrocia quello di Ewa, fantasma di un recente passato extraconiugale, che coinvolgerà Janusz in un’odissea notturna per Varsavia in cerca del marito scomparso. Marito che in realtà è già altrove, avanti nella vita e forte di un’altra famiglia, mentre lei rimasta sola aveva deciso di dover trascorrere assieme all’ex amante quella notte di festa, o altrimenti morire. La solitudine assoluta non le lasciava alternative, ma forse al mattino, dopo aver visitato inutilmente ospedali, cliniche notturne, fermate ferroviarie, per portare avanti il gioco disperato della compagnia umana, qualcosa è cambiato.
Come è prassi nel cinema di Kieślowski storie e personaggi si imbrigliano tra loro, come se il tutto fosse un mosaico atto a restituire la complessità della condizione umana attraverso, anzitutto, l’interconnessione, il legame, per quanto casuale ed effimero possa sembrare. Così è anche per Janusz, che prima di incontrare Ewa incrocia sul portone di casa Krzysztof, apparentemente solo un volto tra i tanti ma di fatto, nella nostra memoria spettatoriale, il protagonista del primo episodio e padre del piccolo Pawel, morto in seguito alla frattura del lago ghiacciato. Difficile immaginare un Natale felice per lui, privato del figlio, e altrettanto angosciante è la prospettiva di Ewa, intrappolata negli echi delle relazioni passate e semplicemente, totalmente, sola. A Krzysztof (e al suo fido co-sceneggiatore, Krzysztof Piesiewicz) basta poco per tratteggiare la tristezza languida della donna, disposta a rischiare tutto, vita compresa, pur di passare quella notte di festa assieme a Janusz. Che paradossalmente, tassista, si troverà ad accompagnarla lungo varie tappe notturne in una caccia a un volto fuori campo che non vedremo mai, se non in foto, un uomo amato e tradito, perso. Il gioco di Ewa sfiora più volte l’impulso suicida perché l’alternativa è troppo totalizzante, gargantuesca e opprimente, per poter essere accettata, e gli scampoli di affetto che riceve da Janusz sono la sola cosa che la separa dall’arrendersi. Nel dramma che lega i due personaggi non troviamo l’impostazione da exemplum morale tipica di altri episodi, i cui protagonisti vengono posti di fronte a una scelta impossibile o pagano il prezzo della loro hybris perché sempre parti, spesso vittime, di un maelstrom caotico e silente, per quanto forse divino. Qui la tragedia è ontologica e risiede nella natura intima dell’essere umano, e dell’orizzonte sociale, politico e affettivo che è in grado di generare attorno a sé. Una dimensione giocoforza fallace, manchevole, che nonostante l’amore e la volontà non è in grado di trovare e dare un posto a tutte le cose.
Decalogo 3 è una piccola storia di occasione perduta, ma anche e soprattutto un ritratto dell’amore, inteso nei termini del sacrificio nonostante ogni violenza e rancore. Janusz ha dovuto rinunciare a Ewa, e oggi sceglie di attenersi a quella fine, ma forse l’aver trascorso assieme la notte, in una ricerca inutile che alla fin fine era solo una patetica sciarada, è stato un modo per ripagare tutto l’amore dato e perduto, affinché la donna possa trovare la forza per ricominciare. Sperando che basti.