Decalogo - Nove

di Krzysztof Kieślowski

Non desiderare la donna d’altri

Krzysztof Kieślowski Decalogo 9

“L’amore risiede nel cuore, non tra le gambe”, dice la bella Hanka al marito Roman che, afflitto, ha scoperto di essere impotente e di non poter fare più sesso con lei. Una forma di rassicurazione, più che una convinzione, dato che Hanka intrattiene già da un po’ un rapporto sessuale con uno studente universitario. Dopo otto capitoli a rielaborare altrettanti Comandamenti, sembra che per Kieślowski, con un margine d’errore abbastanza ristretto, possiamo parlare di una prammatica volta a sfumare il dato della dottrina religiosa. Perché di certo non è un messing around, un prendersi gioco, né un livellamento verso il basso della legge divina, quanto appunto una sperimentazione che nasce dal suo collocamento nei pressi di un contesto autentico, di uno spazio e di un tempo localizzati, la Varsavia degli anni '90. Qui Kieślowski pondera le variazioni possibili, le complicazioni che naturalmente sorgerebbero applicando i comandamenti alle vite della metropoli industrializzata, rapprese nei quartieri ghettizzati, in preda all’avanzata della tecnica di fine millennio. Insomma, per ricorrere a una terminologia benjaminiana che poco o nulla c’entra con tutto ciò, e con estrema semplificazione, è come se in questo abitare al giorno d’oggi la legge divina perdesse la sua aura per risolversi, invece, in uno choc.

Il penultimo episodio del Decalogo non si sottrae a questa logica, semmai la rafforza. Del nono comandamento, Non desiderare la donna d’altri, assistiamo a una rimodulazione che si viene a configurare in un doppio esito. Da una parte, meno determinante perché circoscritta a un minutaggio limitato, sta una formulazione tradizionale. Il chirurgo protagonista, Roman, sembra aver stretto un legame di complicità con una sua giovane e avvenente paziente, una promessa del canto che gira attorno a lui e all’ospedale in ciabatte e soltanto con un accappatoio addosso. La ragazza deve essere operata al cuore se vuole sperare di poter intraprendere una carriera musicale, ma sprizza vitalità e adopera una certa gestualità che paiono lontanamente solleticare l’appetito dell’uomo. Roman ammira le sue gambe scoperte mentre lei si allontana lungo il corridoio con le cuffie alle orecchie, e resta immobile quando sfida la sua compostezza parlandogli e respirandogli a un palmo dalle labbra. Sarebbe stato allora facile pensare a questo episodio come al luogo privilegiato per l’elaborazione di uno sguardo desiderante, cioè di quel male gaze che trova nel corpo femminile l’adempimento di un piacere, di un desiderio carnale, il visual pleasure degli studi discussi da Laura Mulvey nel saggio omonimo (Visual pleasure and narrative cinema, 1975). Ma Kieślowski non casca nella prevedibilità di questa soluzione, che resta invece raffreddata. Il motivo della scopophilia, del voyeurismo, dello sguardo desiderante che oggettivizza il corpo bramato resta soltanto in potenza, suggerito da quel viso e da quelle gambe nude che si consegnano alla vista di Roman.

L’altra risoluzione del comandamento compone invece l’impalcatura di tutto l’episodio. Kieślowski e Piesiewicz rimodulano l’adulterio in una formulazione al contrario, dove a peccare è la moglie, Hanka, consumando una relazione carnale con uno studente universitario che l’impotenza fisica del marito non può invece concederle. In questa inversione dei ruoli, Roman diventa insicuro e prende a tormentarsi con paranoie sulla moglie. Di chi è la voce maschile che le telefona a casa? E di chi il quaderno con appunti di fisica ritrovato nel cruscotto rotto dell’auto? L’ammorbamento di Roman per il tradimento di Hanka lo conduce ad armeggiare coi fili elettrici del telefono per intercettare le sue chiamate (come le operazioni di spionaggio in La conversazione, 1974), a duplicare la chiave della loro seconda casa dove la moglie intrattiene la relazione con lo studente, e a origliare affacciato alla tromba delle scale. In questo soccombere al pensiero dell’infedeltà, Roman giunge alla conclusione che l’unica liberazione sta nel togliersi la vita, correndo in bici forsennatamente contro un dirupo. Nel Decalogo era già capitato che i dispositivi della tecnologia di fine secolo tradissero il loro artefice umano (l’errore di calcolo al computer o l’intervento divino che aveva portato alla morte del bambino nel primo episodio). Ora, il funzionamento farraginoso delle chiamate brevi del telefono a gettoni sembra procurare lo stesso tormento. Fa slittare la conversazione tra i coniugi, tra loro distanti fisicamente e col matrimonio a un bivio. Impedisce loro di chiarire un fraintendimento dopo aver fatto finalmente la pace. E porta Roman a mettere in atto il gesto estremo.

Nel precipitare di Roman e nell’alternanza con lo sguardo interdetto di Hanka che prova a raggiungerlo, s’insediano le note di Zbigniew Preisner, qui celatosi dietro il nome di Van der Budenmayer (compositore fittizio adoperato appositamente per sostituire un lied di Mahler, per cui i diritti costavano troppo, e da qui assurto a personaggio ricorsivo dell’intera filmografia del regista). Il lirismo di Preisner, qui e in tutto il Decalogo, convoca il dramma, ma poi mormora nel silenzio una voce sacra di donna, l’intervento del Divino. Non c’è vendetta e non c’è tragedia in questo penultimo capitolo del Decalogo, così come non c’è stata – lo ricordiamo un’altra volta – l’assunzione di un glory hole, di quello sguardo desiderante che ne avrebbe mortificato la realizzazione in un’applicazione superficiale e immediata del nono comandamento. Tutto torna alla sfumatura e alla lettura personale, intima, che Kieślowski assume della dottrina e della legge morale. E si concede allora un finale buono, dove l’anima di Roman non spira e resta ingessata, letteralmente, su un letto d’ospedale. Quella telefonata alla fine riceve risposta, e come il Dio misericordioso del Nuovo Testamento che sottrae al dolore e alla mortificazione, Kieślowski tiene assieme i suoi due giovani figli nella riconciliazione e nell’amore.

 

Autore: Andrea Giangaspero
Pubblicato il 05/03/2021
Polonia, 1988
Durata: 59 minuti

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