Decalogo - Uno

di Krzysztof Kieślowski

Io sono il Signore dio tuo. Non avrai altro Dio al di fuori di me.

Decalogo 1 - Point Blank

È un Dio punitivo, spietato e vendicativo quello del primo episodio del Decalogo, la celebre e monumentale serie antologica che Krzysztof Kieślowski scrisse (insieme a Krzysztof Piesiewicz) e diresse per la tv polacca tra il 1988 e il 1989. Talmente punitivo, spietato e vendicativo che forse neanche esiste: le macerie che lascia dietro di sé, il dolore e soprattutto la più odiosa tra tutte le morti, sarebbero allora da imputare a un mix di paradosso e hybris greca, un destino beffardo che colpisce duro su ciò che la vittima designata ama di più, ovvero l’affetto più caro (l’unico figlio) e la propria ragione di vita (la tecnica, qui nelle vesti della matematica e dell’informatica).

Krzysztof è un fisico e professore, fervente sostenitore delle nuove tecnologie e dell’intelligenza artificiale. Nonostante quest’ultima, a fine anni Ottanta, poteva essere soltanto teorizzata, almeno nella forma e nella sostanza in cui la intendiamo oggi, il maestro polacco la concretizza con un improvviso e sorprendente guizzo profetico nelle parole (e nei desideri) del protagonista, attraverso uno scorcio di lezione universitaria: rivolto ai suoi studenti, fra cui si nasconde il figlioletto Pawel che pende dalle sue labbra, l’uomo arriva a immaginare che in futuro si possano inventare calcolatori talmente potenti e capienti da offrire traduzioni simultanee. La lingua universale con l’aiuto delle macchine, quindi, e non grazie alla fratellanza divina. Una delle tante blasfemie di Krzysztof, che ha insegnato a Pawel, curioso e geniale quanto il padre, a utilizzare a meraviglia entrambi i computer di casa, con cui si divertono a risolvere problemi matematici che contemplano misure come tempo, peso, temperature e velocità.

Uno dei motivi per cui Kieślowski vantava come estimatori entusiasti altrettanti maestri come Stanley Kubrick (che adorò il Decalogo, data la «rarissima capacità di drammatizzare le sue idee piuttosto che raccontarle solamente») era la capacità di porre enormi questioni filosofico-esistenziali (in questo caso, ovviamente, anche teologiche) con disarmante disinvoltura. Come le domande tanto ingenue quanto cariche di senso che Pawel rivolge al padre, appena tornato a casa, dopo essersi imbattuto nel cadavere di un cane (la vicenda è ambientata durante il rigido inverno di Varsavia, con temperature fino a meno venti gradi sotto lo zero). Perché si muore? Cos’è la morte, e cosa avviene dopo? Ma soprattutto, cosa rimane? E l’anima, cos’è? Cosa mai potrà rispondere un uomo di scienza?

decalogo1 recensione


Di tutt'altro avviso sua zia, la sorella di Krzysztof, cattolica osservante, che invece lo esorta a credere e fidarsi di Dio. «Io e tuo padre abbiamo ricevuto la stessa educazione religiosa, poi lui crescendo ha cambiato idea». Un vero e proprio tradimento, dunque, che il Signore non potrà perdonare. Se alle prese con i dubbi di Pawel i modi di suo padre sono evasivi e impacciati, quelli della zia tendono a permeare il sacro di un amore più che terreno - «Dio sta anche in un piccolo grande gesto come l’abbraccio».
Ma se Dio è infallibile, la tecnica dell’uomo no. Pawel morirà. Proprio per colpa dei calcoli errati del padre. O nonostante quei calcoli fossero esatti. Laddove la Bibbia, un attimo prima che Abramo sacrifichi suo figlio Isacco, racconta l’intervento divino che scongiura l’infanticidio perché la fedeltà a Dio è ormai del tutto cieca, il Dio di Kieślowski – ovvero Kieślowski stesso – esige al contrario la più dolorosa e tragica delle devozioni. Con l’aiuto del computer, l’uomo aveva misurato esattamente lo strato di ghiaccio che sovrastava il fiume Vistola, per poi regalare al figlio un paio di pattini fiammanti.

Furia divina o beffa? Imponderabilità o disegno soprannaturale? In questo primo episodio terreno e ultraterreno si confondono. Se al piano strettamente narrativo sembra affidata la visione rigorosa e religiosamente severa della storia, quello puramente visivo sembra consegnarci un approccio più umano. Fin dall’inizio, in cui la croce altissima, inquadrata dal basso - o un insieme di croci una sopra l’altra, proprio a significare una moltitudine di figli di Dio – altro non è che lo scheletro di cemento che sorregge il condominio teatro di questo e di altri mediometraggi della serie. Così come i piccioni, e non le colombe - ma che si librano in aria proprio come quest’ultime –, risalgono questa grande pseudo croce fino alla finestra dell’appartamento dei protagonisti. E, sempre all’inizio, lo sguardo di un clochard dalle fattezze cristologiche indirizzato, non a caso, verso lo strato di ghiaccio che non sopporterà il peso del bambino. Una presenza costante i cui occhi pare suggeriscano una saggezza premonitrice.

Ed è, forse, proprio allontanandoci dall’interpretazione letterale che possiamo recuperare il fuoco sacro, sì, ma disperatamente laico del cineasta polacco. Un fuoco che ci ricorda di non rassegnarci mai, se per rassegnazione si intende il comfort di valori, certezze e abitudini docilmente forniti dalla quotidianità, dai successi raggiunti, dalle illusioni e da ciò che conosciamo di più. Se la prima delle dieci parti del capolavoro di Kieślowski ci illumina sul senso della vita declinato nel rapporto padre-figlio/Dio-Uomo, scienza e fede, tecnica contro forza divina, possiamo probabilmente annoverare anche un manifesto programmatico nei confronti dell’Arte e quindi del Cinema stesso, unico vero credo dell’autore e di noi cinefili, che ci ricorda ogni giorno come lo stupore nei confronti dell’inimmaginabile filmico, spesso angosciante e irriducibile, sia alla base di una continua e necessaria ricerca in bilico tra introspezione e altro da sé.

Autore: Paolo Di Marcelli
Pubblicato il 15/02/2021
Polonia, 1988
Durata: 55 minuti

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