L'ultimo capodanno - Considerazioni finali sul Festival/Festa di Roma
Il nostro resoconto su un'edizione sghemba e non priva di criticità, anticipazione poco rassicurante dell'ennesima reinvenzione della manifestazione
Pur non essendo di certo un grande avvenimento mondiale, la sofferta vicenda del Festival/Festa Internazionale del Film di Roma conferma l’assioma marxista (a sua volta ispirato da Hegel) per il quale gli eventi storici accadono sempre due volte, la prima in versione di tragedia e la seconda di farsa. Questa nona edizione della kermesse romana si è infatti aperta all’insegna del ritorno popolare alla Festa, un colpo di spugna che interrompe l’ottima direzione intrapresa nei due anni precedenti per riportare il carrozzone sulla strada tracciata ai tempi della direzione artistica della Detassis. Nonostante l’esito brillante raggiunto dai primi due anni di lavoro di Marco Müller, Roma decide allora di abdicare ad ogni ambizione autenticamente festivaliera, un’ennesima inversione di tendenza chiaramente generata da una volontà politica “superiore”. Premessa e accettata l’inevitabile presenza e pressione istituzionale all’interno di una manifestazione culturale di tale portata, il Festival/Festa romano è infatti la sfacciata emanazione di un gioco di poltrone salottiere della più squallida natura, un tiro alla fune in cui l’orientamento politico dell’amministrazione cittadina influisce in modo assoluto sull’identità della manifestazione. Poco o nulla contano allora i risultati ottenuti da Müller nei due anni precedenti, c’è un apparato che desidera ritornare alla sciattezza della forma originaria e a tale volontà è impossibile opporsi. La nona edizione di questo Festival/Festa, l’ultima targata Müller è stata allora l’annata della transizione, lo sghembo tentativo di ritornare al modello festaiolo con una nuova (supposta) consapevolezza.
Il primo dato evidente di questo Festival/Festa è allora la sua natura ibrida, divisa tra aperture popolari e filoni festivalieri più tradizionali. Due parti tra le quali si è tentato di istaurare un dialogo senza risultati incoraggianti. Da una parte il cosiddetto cinema popolare si è rivelato incapace di richiamare le grandi masse per cui è stato pensato, dall’altra il percorso più festivaliero ha svelato davvero troppi passi falsi, per di più riguardanti ciò che doveva essere il suo punto di forza. La massiccia presenza di cinema sudamericano infatti ha mancato di portare “un’altra ipotesi estetica, esterna all’egemonia culturale occidentale”; gran parte dei film visti sono adagiamenti di quel linguaggio di derivazione europea ormai tipicamente festivaliero. Con questo non si vuole certo negare la presenza di alcuni grandi o grandissimi film (come As the Gods Will di Takashi Miike, Os Maias - (Alguns) episódios da vida romãntica di João Botelho, o Angeli della rivoluzione di Aleksej Fedor?enko), ma Cinema d’oggi è sembrato girare a vuoto davvero troppo spesso. Discorso diverso invece merita la sezione Gala, che escluse alcune punte divistiche (il successo di Kevin Costner e l’invasione adolescenziale per il cast di Scrivimi ancora) ha comunque confermato l’indole del pubblico romano, cinefilo per diletto della domenica e presente all’Auditorium solo per i film del weekend. A contribuire a rendere le sale del Parco della Musica una landa spesso deserta popolata per lo più da stanchi giornalisti (rigorosamente italiani) si è aggiunta quest’anno una gestione davvero discutibile delle sale, lasciate vuote per la gran parte della giornata. Considerato il numero esiguo di film presentati, perché non organizzare un sistema più massiccio di repliche, evitando così di trasformare quasi tutti i primi pomeriggi (la fascia dalle 12 alle 17) in crateri vuoti? A riguardo avrebbe anche aiutato una generale revisione degli orari, considerato come le poche proiezioni offerte riuscissero comunque a sovrapporsi per qualche manciata di minuti.
Nonostante gli evidenti patteggiamenti, l’ultima annata di Müller è comunque adorna di alcuni importanti successi, a partire dal giusto spazio concesso al capolavoro di Steven Soderbergh The Knick. Tuttavia Fedor?enko e Miike sono ormai garanzie dell’ex direttore veneziano, mentre film attesi come Guardiani della Galassia, Gone Girl e La spia – A Most Wanted Man sono semplici anteprime italiane e accordi di posticipazione di uscite in sala (Fincher per questo arriverà da noi a Natale..) piuttosto che autentiche conquiste. Parti comunque necessarie di una manifestazione anzitutto economica come un festival, ma più degne di una grande rassegna piuttosto che di una kermesse internazionale.
Durante la conferenza stampa di presentazione, alla domanda su chi sarà il prossimo nome scelto per guidare la manifestazione, il presidente della Fondazione Cinema per Roma Paolo Ferrari ha risposto candidamente “vedremo cosa decideranno i politici”. La domanda allora è aperta: cosa deciderà la politica romana per la ritornata Festa romana? A giudicare dai tentativi di quest’edizione l’intenzione è stata quella di avvicinarsi al modello di Toronto, all’interno del quale non esistono giurie e concorsi ma soltanto un premio del pubblico. Tuttavia la non esaltante affluenza di quest’anno ci ricorda come la massa agognata da questa visione tardi a palesarsi, vuoi la difficile collocazione dell’Auditorium, vuoi l’assenza di un’educazione festivaliera dei cittadini. Guardando al futuro la Festa di Roma si prospetta allora come una rassegna ipertrofizzata di pellicole popolari spesso già passate per altri lidi, un intento nobilissimo se non continuasse ad essere agghindato e finanziato da kermesse internazionale quale non è. La Fondazione Cinema per Roma infatti è ormai evidentemente qualcosa da ripensare nel profondo, da reinventare partendo dal basso con ambizioni apparentemente minori ma in realtà più nobili. Londra e Parigi, per esempio, hanno i loro festival di servizio, kermesse più che dignitose capaci di lavorare sul territorio senza inutili ambizioni internazionali. Presunto gigante dai piedi d’argilla, il Festival/Festa dovrebbe allora avere il coraggio di guardarsi allo specchio e smettere di credersi qualcosa non è. Dopo di ciò si potrà tornare a parlare attraverso i film.