Si potrebbe aprire questo articolo in maniera classica, celebrando l’esplosione di plasma all’interno del film ad esempio, ma una citazione di quel RZA dei tempi del Wu Tang Clan riassume perfettamente le sue intenzioni per quanto riguarda gli obiettivi (perlomeno visivi) della pellicola: And if you want beef, then bring the ruckus. Per i comuni mortali Se vuoi la sfida, allora scatena il casino. Parola di RZA come detto, parola di un esordiente dietro la macchina da presa ma che davvero di esordiente sembra avere davvero poco. Come i più promettenti calciatori della storia, che sembravano “vecchi” a vent’anni. Frutto di passione e di tanto lavoro oscuro all’interno di set cinematografici, prima contribuendo alle musiche di vari e bei lavori, e poi finendo nei copioni con ruoli facendo sicuramente una buona impressione. Infine l’incontro, a dir poco decisivo, con Eli Roth, si proprio quel quarantunenne pupillo del signor Quentin Tarantino. Un incontro quasi casuale e che ha portato alla stesura a quattro mani de L’uomo con i pugni di ferro, racconto fantastico di una Cina, cinematografica e reale, che non c’è più. Dicevamo di Eli Roth, del suo rapporto confidenziale col pulp-splatter vecchia maniera e il cinema ormai detto “alla Tarantino”, quello fatto di sangue a palate e ironia quasi grottesca. Quel cinema che proprio Tarantino ha rivitalizzato e rivoluzionato allo stesso tempo, riempiendolo di stereotipi riguardanti stili cinematografici apparentemente in disuso. Beh, RZA e Eli Roth prendono esempio dal regista di Knoxville e buttano giù una sceneggiatura più che valida, che prende molto dalle visioni dei classici asiatici.
C’è tanto, tantissimo classico all’interno ma c’è anche molto di Kill Bill, in particolar modo nelle ambientazioni di battaglia al chiuso, nelle quali davvero in alcuni momenti mancava solo Uma Thurman in giallo e la sua katana, purtroppo tipica arma giapponese. Purtroppo perché ci si trova in Cina, a Jungle Village, luogo defilato e tormentato al suo interno tra continue faide tra Clan e la ricerca di accaparrarsi il mai desueto Oro. Figure asiatiche dominano quindi la scena? Assolutamente no, anzi. Fondamentali sono i ruoli dello stesso RZA e dell’appesantito ma sempre eccezionale Russell Crowe. Non è quello de Il gladiatore, bisogna aggiungerci venti chili e vestiti da cowboy consumato, contornato da donne, oppio e alcool. Figura che lontanamente ricorda il Dottor Schultz all’inizio di Django, quando la domanda di molti era: “ma è buono o cattivo?”. Russell Crowe aka Jack Knife suscita le stesse impressioni, che ovviamente si andranno chiarendo con lo scorrere dei minuti.
RZA invece, il fabbro abile e riservato chiamato Blacksmith, il punto nero che colora la scena pur rimanendo sempre piuttosto in ombra. Non ci si trova infatti davanti al classico scenario con l’eroe predominante e il villain da combattere. Anzi ogni personaggio nato dalla penna dell’ormai ex rapper del Wu Tang Clan risulta avere ognuno il proprio interesse, ognuno una propria psicologia e un obiettivo da dover raggiungere. Si, perché l’accoppiata RZA/Roth è stata attenta ai minimi dettagli, così come la produzione ha scelto il meglio per il reparto tecnico. Uno su tutti a mio modestissimo avviso: quel Greg Nicotero già stupefacente nella serie The Walking Dead che si ripete alla grandissima in un film dove spesso le interiora umane non rimangono al loro posto d’origine. L’uomo con i pugni di ferro è un film veramente ben sviluppato e reso benissimo all’interno del profilmico, seppure avrebbe potuto possedere ulteriori margini di migliorie da introdurre. Ma per RZA del resto, è solo l’inizio. E chissà se quel “Quentin Tarantino presenta” non diventerà “Un film di Tarantino e RZA”. Chissà..