Lady in The Water
Shyamalan firma un nuovo film sull'America e le sue paure, in cui solamente attraverso una dimensione comunitaria è possibile (ri)scoprire il proprio ruolo nel mondo.
Se l’inaudita (e sotto certi versi inaspettata) connotazione politica di The Village aveva lasciato di stucco i più, l’opera successiva di M. Night Shyamalan era attesa al varco come una vera e propria prova del nove, almeno in termini di maturità. Con quella capacità di disattendere le aspettative che appartiene solamente ai grandi, invece, Lady in the Water sembrò voler ripiegare considerevolmente le ambizioni autoriali a vantaggio di una dimensione più semplice e fanciullesca, con il risultato di andare incontro a uno dei più grandi fraintendimenti critici nella carriera del regista (al punto da vincere addirittura due dei famigerati Razzie Awards, tra cui quello come peggior regista: quanta ingratitudine).
Quella che in apparenza sembra soltanto una fiaba priva dello spessore del film precedente (il soggetto deriva – pare – da una storia inventata dallo stesso Shyamalan per i suoi figli,) in realtà si pone come un’opera che prosegue il discorso iniziato con il film del 2004, traslandolo però di prospettiva: ed ecco allora che Lady in the Water è ancora un film sull’America e le sue paure, chiusa nei suoi confini ma dal disperato bisogno di un’evasione fantastica per ritrovare se stessa e la propria identità, perché “l’Uomo, forse, non sa più ascoltare” . Al posto della comunità rurale di The Village, un complesso condominiale (quasi una reminiscenza cronenberghiana) che bandisce il mondo esterno confinandolo in un eterno fuori campo, nell’invisibile, del quale rimangono solamente le immagini di guerra (l’Iraq?) trasmesse in televisione. Dentro, un microcosmo di uomini, donne e bambini all’interno del quale ognuno dovrà assumere un ruolo fondamentale per se stesso e gli altri, come nelle funzioni elaborate da Validimir Propp nel suo celebre Morfologia della fiaba (1928), tra cui Shyamalan stesso si autoinveste della responsabilità fondamentale e tragica allo stesso tempo di narratore.
“Deve fare in modo che la veda come un bambino: innocente”, dice un personaggio al protagonista: insieme a L’ultimo dominatore dell’aria, Lady in the Water è il film di Shyamalan che più di tutti pretende un atto di fede da parte dello spettatore, chiamato a ritrovare quella disposizione umile ma sincera nel prestare attenzione a una storia. E come tale, questa è intrisa di folklore e magia, popolata da ninfe, creature malvagie e aquile salvifiche; forse è davvero l’opera più trasparente del suo regista, quella in cui la purezza degli intenti si manifesta nella maniera più limpida e cristallina possibile, senza mediazioni di sorta. Ma una volta accettato fino in fondo il patto con il suo autore, è difficile rimanere insensibili al fascino di un film talmente imperfetto da risultare, inevitabilmente, colmo di amore e speranza: perché è soltanto insieme, in una ritrovata dimensione comunitaria, che si può guardare concretamente alle possibilità del futuro, accettando il passato (e con esso il dolore e la morte) come componente fondamentale della vita senza che questo precluda una nuova via alle aperture e alla felicità.
Ce n’è molto di dolore, in Lady in the Water: nel vissuto del protagonista Cleveland Heep (Paul Giamatti), ex medico traumatizzato dal brutale omicidio di sua moglie e dei loro figli, così come nell’avvenire dell’aspirante scrittore Vick Ran (lo stesso Shyamalan). Eppure tutti faranno tesoro della tragedia per (ri)scoprire il proprio ruolo all’interno della società e del mondo, con la consapevolezza che aiutare gli altri e aiutare se stessi, in fondo, possono essere benissimo la stessa cosa. Grazie anche alla stupefacente fotografia di Christopher Doyle (guardate la lunga sequenza subacquea, e provate a contenere la meraviglia: non ci riuscirete) e alle bellissime musiche di James Newton Howard (da sempre la naturale estensione sonora delle immagini di Shyamalan), un film totalmente personale e lontanissimo da qualsiasi moda, che non si vergogna di mettersi a nudo e mostrare un cuore vivo e palpitante.