Non poteva essere diversamente: la Primavera Araba è uno dei grandi temi di quest’ultimo MedFilm Festival, coda lunga degli accadimenti occorsi fra il 2010 e oggi sulle coste africane del Mediterraneo e nel Medio Oriente che ancora devono essere del tutto metabolizzati da chi ha visto rivoluzionare profondamente il proprio Paese. È stato presentato presso la Casa del Cinema di Roma Boiling Dreams, affresco contemporaneo di un Marocco in profonda mutazione sociale e culturale.
Il marito Ahmed, dal profondo Marocco, decide di tentare la fortuna in Spagna come molti altri suoi connazionali, come molti altri poveri e bisognosi che da tutte le parti del mondo tentano la fortuna in Occidente. Ma se solitamente siamo abituati ad un cinema che segue questa scoperta del mondo occidentale da parte degli immigrati, stavolta lo sguardo del regista Hakim Belabbes rimane in patria, a seguire la vita della moglie e dei due figli di Ahmed “costretti” a restare, e su cosa ciò significhi e comporti.
Hakim Belabbes realizza così un’opera importante, che ha il pregio di riflettere sui paesaggi umani e culturali che il Marocco sta registrando, analizzando con veridicità la rivoluzione in corso. Il risultato, pur significativo, è però artisticamente non all’altezza, complici troppe sottolineature drammaturgiche che rendono Boiling Dreams fin troppo retorico, specialmente se impiantato su una tematica – quella della diaspora e migrazione – che se ben si presta ad una lettura enfatica al contempo ne compromette gli esiti. Belabbes propone un formalismo eccessivo, fatto di campi lunghi a stilizzare gli ambienti, primi piani forzatamente drammatici, silenzi eccessivi che costringono lo spettatore a renderli evocativi. Non ultimo, la drammaturgia intervalla macchina fissa e a mano senza apparente giustificazione, ad alternare uno stile che è solo tecnico giacché non combaciante con il corpus narrativo ripreso di volta in volta. Di fronte a dei vizi che sono sia formali che strutturali, sia drammaturgici che tecnici, l’esito non può dirsi soddisfacente. Comprendiamo che le ideologie libertarie e rivoluzionarie attualmente presenti in Marocco siano fortissime e influenzino molta arte autoctona, ma su simili ardori si possono fondare anche testi filmici insufficienti (anche in Italia andò così, sull’epica resistenziale del secondo dopoguerra, che si impresse su film neorealisti e non di alterna validità).
Quello che però più rinfranca nella visione di Boiling Dreams è che il progressismo si è davvero insinuato nelle maglie culturali marocchine, e anche un film non del tutto riuscito come quello qui analizzato ne è diretta testimonianza. Non capita spesso, infatti, in un film fortemente ideologizzato come questo di trovare delle visioni anticonvenzionali di una retorica ferrea, spesso accondiscendente e sottomessa a dettami sentimentali e narrativi ben definiti. In Boiling Dreams il sogno occidentale inseguito da Ahmed non è all’altezza delle aspettative, non è il posto giusto dove cercare un futuro dignitoso per la propria famiglia. L’uomo tornerà a casa, e nonostante anche questo sia un cliché propagandistico di un Paese da rifondare, può dirsi comunque una cifra sociale nuova, ora totalmente instillata in una nazione che vuole rigenerare se stessa, partendo dal rovesciamento di tutta una serie di stereotipi che la precedente cultura aveva contribuito a fondare e foraggiare. Uno stereotipo ribaltato sempre tale rimane, ma il segno contrario promosso da esso è assai più rinfrancante e dignitoso di quanto sin qui spesso proposto. Meglio così.