Mister Morgan

Matthew Morgan era pazzo di sua moglie. L’amava davvero, adorava tutto di lei, ha perfino acconsentito ad avere bambini, per quanto non si sentisse tagliato per la paternità. Poi Joan è morta, e l’uomo si è ritrovato anziano, con dei figli cresciuti con i quali non è mai riuscito a instaurare un rapporto e un immenso vuoto nell’anima. Da allora girovaga nella grande casa dove abitava con la moglie a Parigi, le finestre sempre chiuse, una donna che viene a portare la spesa una volta alla settimana, libri e giornali abbandonati a prendere polvere e qualche abitudine ripetitiva per occupare il tempo. Joan è sempre lì, accanto a lui, un fantasma con cui dialogare. Matthew è talmente inebetito dalla perdita da non essere nemmeno disperato, solo assente, mentre passeggia per la città, finché un giorno su un autobus incontra per caso Pauline e riscopre il dialogo con le persone. Non che questo sia per forza un evento positivo: ritornare alla vita, simboleggiata dai passi di danza che la ragazza insegna nel suo corso, è forse perfino troppo traumatico per chi aveva dimenticato il sapore delle cose e se lo ritrova improvvisamene di nuovo in bocca.

Come in Up della Pixar, Mr Morgan descrive il dolore della perdita, l’annichilimento successivo e l’istintivo desiderio di uscire dai giochi, come anche la ricerca della persona amata in ogni cosa che possa ricordarla. Matthew ha perso Joan, Pauline ha perso suo padre: ciascuno ritrova nell’altro frammenti dei propri fantasmi. L’ambivalenza sessuale temuta dai figli dell’uomo, in particolare Miles, per fortuna non è presente, pena la perdita di credibilità dell’intera storia; i due protagonisti si cercano, ma solo per consolarsi, tenersi in piedi, far rivivere rapporti finiti e convincersi così che la vita è ancora degna di essere vissuta. Poiché però ogni individuo non può solo ricalcare le proiezioni altrui, ma porta con sé anche elementi inediti, nuove emozioni necessariamente spuntano e travolgono, cambiando le carte in tavola.

Michael Caine si porta sulle spalle l’intero film, grazie alla sua poderosa interpretazione, benché a metà della storia un certo sviluppo dell’intreccio risulti piuttosto prevedibile; per fortuna chi si aspetta il racconto morboso, trito e ritrito, di come un uomo avanti con gli anni riscopra la gioia di vivere innamorandosi di una ragazza molto più giovane di lui – malgrado il titolo originale del film, Mr. Morgan’s Last Love – sarà deluso. Al contrario, una certa sottile delicatezza pervade lo sguardo, un rispetto viscerale per i sentimenti e le fragilità dei personaggi, anche se le soluzioni narrative finali non sono delle più originali. Con molto pudore si introduce il tema dell’eutanasia e la domanda che attende chi arriva a una certa età ed è come morire. Come terminare tutto quando si è ammalati, quando non si ha più motivo di vivere, e ciò è lecito? La regista Sandra Nettelbeck, che ha tratto la pellicola dal libro di Françoise Dorner La douceur assassine lascia la parola ai suoi protagonisti, senza intervenire troppo con scelte di regia che prediligano un orientamento morale preciso rispetto a un altro. “Quando si capisce tutto della propria vita, è arrivato il momento di morire” afferma Pauline, ma che questa consapevolezza che apre le porte alla fine sia reale o solo un’illusione non è specificato. Certamente, se si stringono i denti e si resiste, il tempo porta prima o poi sempre qualcosa di nuovo, una porzione originale di qualcosa che se non è l’antica gioia, assomiglia almeno a una ventata di momentaneo sollievo. Ma, se questo valga lo sforzo, sta solo a ognuno di noi deciderlo.

Autore: Veronica Vituzzi
Pubblicato il 18/08/2014

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