Nomadica 2015 / Città - STATO
Lavorare sul materiale di archivio, predigitale e regionale, per scavare nella Storia e nel rimosso di un territorio all'alba di una nuova era
Nella città-STATO bande di bambini giocano con skate improvvisati che sfrecciano sull’asfalto spaccato, mentre posti di blocco di militari e carabinieri si alternano a processioni religiose e politiche. La città-STATO è invasa da cortei che reclamano il diritto alla casa, che denunciano la corruzione e l’ignavia perenne dei politicanti vicini alla mafia, mentre movimenti che millantano forze nuove reclamano per sé un palco dal quale dirigere il paese come un’azienda televisiva. La città-STATO è indipendenza presunta e dannazione di sé, abusivismo e corpi ammazzati, processi e scorte armate, e masse di persone che pregano la Madonna e acclamano il miracolo di alcune istantanee, come la collettività isterica della Dolce Vita felliniana, impazzita per la testimonianza di alcuni bambini che assicurano la presenza del divino in un prato di periferia.
Elaborando un materiale d’archivio sottratto alla polvere e alla rovina di garage usati come magazzini, Giuseppe Spina costruisce la sua Città-STATO lavorando su S-Vhs prodotte dai vari telegiornali locali della provincia di Catania. A delimitare il campo d’azione del montaggio è anzitutto il periodo prescelto, il triennio 1992-1994, all’interno del quale esplodono le contraddizioni storiche della cosiddetta prima repubblica italiana e nuove inquietanti forme iniziano a prendere vita. Da Tangentopoli alla prima vittoria di Silvio Berlusconi, da Capaci all’avvento della Lega, uno zoom che suona come una rivalsa nei confronti di una Storia giornalistica che per anni ha girato attorno agli accadimenti siciliani di quegli anni senza mai affondare lo sguardo.
La restituzione operata da Spina si carica di un doppio valore se consideriamo il particolare materiale d’origine, lascito archeologico di un’epoca predigitale che ormai appare preistoria, giurassico, proprio quegli anni lì che l’economista Francis Fukuyama descriveva con un suo famoso saggio come la “fine della storia”. Tra il videoregistratore carnale di Videodrome e le immagini terrigne e postpasoliniane di Cinico TV – fino al Belluscone di Maresco – i nastri recuperati da Spina restituiscono anzitutto una componente materica, che ben si sposa agli intenti archeologici di chi vuole riesumare una testimonianza, mettere in sinestesia i ricordi di quegli anni per creare senso ulteriore.
Tuttavia gli accostamenti sono eterogenei, manca un filo conduttore evidente e narrato; a fare da cornice e filtro è piuttosto il contesto storico da cui ci arrivano le immagini, la fine del Secolo Breve, un mondo dopo la fine del mondo che suona post-apocalittico e archetipale assieme, dove la rabbia per una Storia mai narrata va di pari passo con la volontà di riportare fantasmi e ricordi estemporanei sullo schermo, almeno per 30 minuti, come a proporre un rito di rielaborazione e scossa collettiva.