Nomadica / I Talk Otherwise
Un racconto autobiografico del Danubio, che scorre imperterrito mentre nelle sue correnti rivive la Storia del Novecento europeo nelle sue dolorose e spesso insolubili contraddizioni
9000 chilometri percorsi, 350 ore di materiale raccolto e 50 ore di immagini di repertorio, 8 paesi attraversati, 9 lingue registrate: 7 anni impiegati. Sono questi i numeri con cui si presenta I Talk Otherwise, lungometraggio d’esordio di Cristian Cappucci, documentario e riflessione storica on the road che si incarica di percorrere il Danubio per tutta la sua lunghezza e di fare di questa lunga discesa un discorso allegorico sul Novecento europeo e sulle sue idiosincrasie.
Dalle sorgenti nella tedesca Foresta Nera alla foce nel Mar Nero, dove termina con un delta considerato patrimonio mondiale dell’UNESCO, il Danubio attraversa con i suoi 2860 chilometri gran parte dell’Est Europa, un percorso che Cappucci intraprende e trasforma in uno zibaldone di incontri e pensieri, riflessioni e quesiti, grazie all’intrecciarsi di testimonianze che si accavallano fino a creare una nuova mappa allegorica del Secolo Breve, susseguirsi di totalitarismi, progressi, rivoluzioni, crisi e trasformazioni di un sistema capitalistico sempre più pervasivo e contradditorio.
Ecco così che i racconti di pescatori, tassisti, operari, imprenditori, storici e commercianti diventano testimonianze sfocate che scolorano nel più grande ritratto della Storia, voci di vite vissute vicino alle acque del fiume, brani di esistenze che ci raccontano di un mondo che cambia. Il risultato è un viaggio anzitutto mentale, indagatore, e che tuttavia riesce a sfuggire alla pura metafisica grazie alla natura a dir poco prorompente che esplode e invade parte del lungometraggio. Ed è in certi momenti, quando l’immagine naturale dialoga con i frammenti di vita più estemporanei e casuali, che I Talk Otherwise si illumina di particolare potenza e spessore cinematografico; in queste parti la Storia del Novecento si lega davvero al vivere quotidiano, sembra passare come cadavere morto nelle correnti del fiume, derelitto abbandonato che rischia di scivolare via se non trova lungo il suo percorso un occhio che ne raccolga le membra. In questo senso il fiume è il tempo del nostro secolo, un flusso di eterno movimento che pur scorrendo nasconde al suo interno la fissità di concetti e realtà destinati a rimanere, fosse anche nella memoria di vecchi zingari vagabondi o ex SS di famiglia aristocratica dedicatisi alla salvaguardia di una fonte fluviale.