Boarding Gate
Il noir destrutturato e deterritorializzato di Olivier Assayas raggiunge la videoteca MUBI.
È un odi et amo destinato a non risolversi mai quello che lega il più intellettuale e teorico cinema d'autore francese al mondo del b-movie popolare - e che genera in Boarding Gate il più reietto dei suoi figli bastardi. Uno come Olivier Assayas, ultimo custode di una certa ortodossia cinephile d'oltralpe (fin dall'obbligata militanza giovanile nelle file dei Cahiers), non poteva che sviluppare il rapporto più conflittuale di tutti con questo universo produttivo di sensazionalismo e violenza, immagini commercializzate e prodotte in pillole a soddisfazione delle peggiori pulsioni emozionali. Il cinema del parigino ha sempre lavorato nel porre le costanti evoluzioni semiotiche del medium, in particolare delle sue incarnazioni più torbide, in rapporto al privato dello spettatore/consumatore – fino al punto di rottura, alla completa desaturazione anti-spettacolare. Odi et amo: un'attitudine neanche tanto velatamente moralista (portata all'estremo del disgusto ricercato in Demonlover, precedente chiave del film del 2007) – pure affiancata ad una vorace, bulimica e sincera passione per le narrazioni popolari. Pur sempre di un critico si parla.
Negli ultimi anni, tutto ciò ha portato Assayas a rimbalzare come una pallina di gomma tra le tendenze più disparate (ghost story, melò, Polanski, black comedy, ovviamente il thriller); ma Boarding Gate è dove il genere prende il sopravvento e, da suggestione, diviene il film in sé. Non un dramma che “omaggia” il b-movie, ma un b-movie puro (ossimoro?) sublimato nella sua essenza più elementare: racconto noir destrutturato fino al limite estremo, ridotto a tre scarnificati blocchi narrativi (presentazione, conflitto, risoluzione – in questo caso, degenerazione) come in altrettante sedute psicanalitiche.
A stendersi sul lettino è il “Bourne movie”, ovvero l'essenza stessa del thriller moderno, per come si presentava negli anni 2000. A farsi largo all'inizio del millennio era una concezione del poliziesco geopoliticamente consapevole, centrata sulla perdita di coordinate dell'individuo nei flussi impazziti della globalizzazione. Un discorso, anche estetico, suggerito dal montaggio frammentato di Greengrass e dal digitale di Mann, che Assayas riprende ed esaspera. A raccontare la deriva dei protagonisti non sono più sparatorie, esplosioni e strade losangeline, ma i non-luoghi degli hotel, centri commerciali, gate aeroportuali. Inquadrature glaciali, sintetiche, che strisciano su superfici di vetro e metallo congelando tutto il calore ormai perduto dell'azione.
Quindi: la escort e truffatrice Asia Argento deve estorcere al suo ex amante Michael Madsen, trust funder dalle mani sporche, i soldi necessari per una disperata fuga a Shangai. L'archetipo della “pupa del gangster” si risveglia nell'era del Capitale finanziario e del villaggio globale – ma non è solamente un discorso semiologico su inquadrature e codici espressivi a sventrarne il senso. L'anima da polemista debordiano che dominava la prima parte di carriera di Assayas si è fortunatamente stemperata con l'età, assieme alla masturbatoria e un po' autistica attittudine ad épater les bourgeois che ha caratterizzato tanti coetanei della stessa generazione. Boarding Gate è un film-scheletro il cui midollo non è teorico, ma essenzialmente umano: un racconto che non parla (solo) di sé stesso, ma anche dei suoi protagonisti – laddove era uno strutturalismo mortifero e nichilista a caratterizzare le opere più programmaticamente controverse dell'autore.
“Noir exposits one great theme, and that theme is that you’re fucked”, dice James Ellroy, che ne capisce. Boarding Gate dialoga con le coordinate del film d'azione moderno, elevato a chiave interpretativa di un percorso di liberazione universale (di cui si fa carico Asia Argento, alla prova della carriera – volenti o nolenti, come lei l'Italia ne ha avute poche). Il mondo deterritorializzato all'estremo, senza confini né spazi, cosmopolitismo stordente dove ogni lingua è parlata e compresa, non promette più vie di fuga; il complotto è sempre più grande, il sogno (anche cinematografico) della Cina lontana moltiplica a tela di ragno gli stessi rapporti di sfruttamento emozionale, psicologico, politico, che stendono su ogni orizzonte il linguaggio unico della transazione.
Quelle di Assayas, di base, restano analisi di persone-personaggi, in rapporto alle immagini (e dunque ai film) che le raccontano. In Boarding Gate, i rapporti di potere sadomasochistici escono dal privato per definire il presente, e trovano nel fascino perverso del noir l'unica possibile controparte cinematografica.