Pasolini - La verità nascosta
Dopo quasi quarant'anni, un altro tentativo di far luce su quell'oscura notte.
“[…] La morte non é
nel non poter comunicare
ma nel non poter più essere compresi[…]”
P.P.P.: Una disperata vitalità, in Poesia in forma di rosa
[…] «Hanno ammazzato Pasolini». Lo disse sorridendo, quasi annunciasse la sconfitta di una squadra di calcio. Pajetta non capì. O non volle capire? Alzò una fronte aggrottata, brontolò: «Chi? Hanno ammazzato chi?» E il ragazzo: «Pasolini». E io, assurdamente: «Pasolini chi?» il ragazzo: «Come chi? Come Pasolini chi? Pasolini Pier Paolo». E Panagulis disse: «Non è vero». E Miriam Mafai disse: «È uno scherzo». […]
Questa manciata di righe è desunta da “Lettera a Pasolini”, scritta da Orianna Fallaci e pubblicata prima sulla rivista letteraria “Salvo imprevisti” (novembre 1975) e poi nel libro raccolta “Dedicato a Pier Paolo Pasolini” (Gammalibri, dicembre 1976). Un articolo quello della Fallaci scritto in fretta, come improvvisa e raggelante – il cosiddetto fulmine a ciel sereno – è stata la notizia della morte di Pier Paolo Pasolini, avvenuta tra il 1º e il 2 novembre del 1975 all’idroscalo di Ostia. Una notte scura squarciata improvvisamente dal sangue. La notizia subito data in pasto all’Italia è stata quella di un “delitto sessuale”: Pasolini era stato ucciso “giustamente” da un “ragazzetto di vita” abbordato alla Stazione Termini quella stessa notte e che poi si era rifiutato di svolgere quel lavoro di marchetta per cui era stato rimorchiato e pagato. Quindi Pasolini era giustamente morto perché se l’era cercata, caso chiuso secondo la morale opinione. Però sin dall’inizio si era “sgamato” che Pino Pelosi (il ragazzetto di vita, detto la Rana), non poteva essere stato il solo presente in quella buia notte all’Idroscalo a massacrare Pasolini. Oltre al fatto che gli indizi probatori esposti dalla difesa di Pino Pelosi venivano sistematicamente sbugiardati perché improbabili, oppure perché si notava che c’era un forte depistaggio voluto dai… “piani alti”. Gli amici e la nomenklatura intellettuale – quella non schierata con il potere – del poeta friulano avevano condotto indagini e prodotto prove (molto attendibili ma mai effettivamente accettate) per dimostrare come l’uccisione di Pasolini sia stata attuata da più persone, o per meglio dire da un branco ben organizzato. Il giornalista Furio Colombo – a cui Pasolini aveva rilasciato l’ultima intervista nel pomeriggio del 1º novembre – raccoglie la testimonianza del pescatore Salvitti, che in quella cupa notte si trovava lì; la giornalista Oriana Fallaci pubblica forti articoli esponendo tesi raccolte attraverso informatori “misteriosi”; il regista Marco Tullio Giordana, molto tempo dopo, scrive un libro (1994) e poi ci gira un film (Pasolini – un delitto italiano, 1995). E poi ci sono le indagini fondamentali svolte da due ragazzi di vita: Sergio Citti e Silvio Parrello. Citti, grande amico e “maestro” di Pasolini, a pochi giorni dal fattaccio ritorna persino sul luogo del delitto e gira un cortometraggio senza sonoro in cui tenta di ricostruire il delitto, indicando alcune ipotesi che smentirebbero la tesi accertata e accettata dalla polizia. Cortometraggio che a quel tempo non venne messo a verbale e venne “riscoperto” solo 20 anni dopo. Parrello, borgataro e artista naif (poeta e pittore), è invece quello che scopre che all’idroscalo non c’era solo una macchina, ma c’era una Alfa Romeo GT uguale a quella di Pasolini.
Dopo tutte queste indagini e dopo il tentativo filmico d’inchiesta di Tullio Giordana, ecco che giunge a distanza di quasi quarant’anni un altro tentativo di far luce su quella oscura notte. Pasolini – La verità nascosta di Federico Bruno, realizzato nel 2013 ma ancora senza una distribuzione, racconta, ricostruendo totalmente in formato fiction, quegli ultimi 10 mesi di Pasolini del 1975. Cinematograficamente parlando si potrebbe definire un prequel della pellicola di Marco Tullio Giordana (che cominciava con la fuga di Pelosi con l’Alfa Romeo GT). Federico Bruno attinge anche dal libro Io so… come hanno ucciso Pasolini di Pino Pelosi, di cui Bruno fu anche uno dei ghost writer insieme all’avvocato Olivieri. Il titolo di questa pellicola potrebbe essere spezzato in due per dare le due chiavi lettura su come si potrebbe interpretare e recensire la pellicola. Da un lato abbiamo la vita privata e artistica di Pasolini, dall’altro il tentativo di mostrare una tesi – largamente approvata – in cui all’omicidio non c’era solo Pino la rana, e quindi la verità è ancora nascosta. Recensendo e quindi criticando la pellicola di Federico Bruno bisogna però mettere subito da parte i giudizi verso le “nuove” tesi che espone e propone. O, per dirla meglio, solo verso una parte di quelle asserzioni che provengono dalla testimonianza del reticente/collaboratore Pino Pelosi, che gettano una nuova “sporca” luce su alcuni fidati sodali di Pasolini. Quindi è meglio concentrasi solamente sulle qualità cinematografiche dell’opera di Bruno.
Pasolini – La verità nascosta come detto poc’anzi è un’opera lodevole e coraggiosa soprattutto per la ricostruzione scenografica molto minuziosa del lontano 1975. In questo caso torna in mente quell’articolo scritto dallo stesso Pasolini per “Il Mondo” proprio in quell’anno (per l’esattezza il 16 ottobre), quando la Rai si accingeva a trasmettere per la prima volta in televisione Accattone. Pasolini constatava – e lamentava – come a 14 anni dalla realizzazione di quel suo esordio registico, filmare nuovamente a metà degli anni ’70 quella pellicola su Vittorio Cataldi era prova impossibile, perché le borgate erano cambiate, Roma era cambiata e anche i ragazzi di vita erano cambiati. In poche parole quel mondo era scomparso. Federico Bruno in questo caso guadagna un punto critico, perché è riuscito a ricostruire quella lontana e scomparsa Roma di metà anni ’70 anche attraverso un esiguo budget produttivo.
Dopo il violento prologo in cui vediamo il martoriato Pasolini tentare di sfuggire al massacro, Bruno ricostruisce metodicamente e cronologicamente quel countdown che terminerà bruscamente all’inizio di novembre. Un lento e laborioso tic tac fino al bestiale scannamento finale. Anche questi ultimi mesi sono fitti di febbrile lavoro per Pasolini. In primis la realizzazione del suo film maledetto Salò o le 120 giornate di Sodoma, e a lato il suo incessante lavoro di scrittore, che si dipana dalla poesia agli editoriali giornalistici fino al romanzo. In questo caso il romanzo incompiuto Petrolio, che uscirà postumo per i tipi dell’Einaudi nell’ottobre del 1992. Ed è proprio il magmatico Petrolio ad essere stata, tra le tesi proposte assieme all’articolo Io so pubblicato sul Corsera l’anno precedente (14 novembre 1974), la goccia che ha fatto traboccare il vaso degli apparati statali. Per Pasolini Petrolio è un romanzo di “finzione”che tra le infinite righe vuole anche indagare sui loschi affari dell’Eni e sul losco dirigente ed imprenditore Eugenio Cefis.
Da questa tenace indagine Bruno ci mostra e ipotizza anche un Pasolini detective, intento ad investigare a fondo sull’Eni e sulla scomparsa di Mauro de Mauro, giornalista che indagava sul delitto di Enrico Mattei e che collaborò alla pellicola Il caso Mattei di Francesco Rosi. Ed è proprio durante la realizzazione di questa pellicola che De Mauro scomparve misteriosamente dalla faccia della terra. Ma al di là di questa “licenza cinematografica” (che fa il paio con le scene di conversazione tra il Dirigente DC e l’alto Prelato del Vaticano sulla questione Pasolini, e l’ipotesi che il poeta friulano potesse vincere il Nobel), Bruno si concentra su un Pasolini perennemente al lavoro e sempre circondato da amici e colleghi. Evita di approfondire solamente il Pasolini notturno, cioè quando si trasformava in gatto randagio in cerca di avventure amorose. Unico adescamento mostrato è proprio quello di Pelosi, che con le nuove prove viene retrodatato di qualche mese. E quindi ecco che in questa minuziosa ricostruzione vediamo passare in rassegna quasi tutta la factory pasoliniana, personaggi tutti rigorosamente reinterpretati o da attori di strada o da professionisti: Ninetto Davoli, Laura Betti, Dacia Maraini, Sergio Citti, Tonino Delli Colli, Alberto Moravia, Alberto Grimaldi, Dino Pedriali e Furio Colombo. Inoltre la venerata madre Susanna e l’inevitabile Pino Pelosi. E tra un lavoro artistico ed una diatriba intellettuale, mentre Pasolini fugge in quella Roma lontana, sentiamo fuori campo i suoi pensieri, sulla vita e sull’arte. Fughe solitarie in cui ci viene mostrato il Pasolini fragile e “fanciullo”, a volte accompagnato anche dalla musica classica (altro elemento ripreso dal cinema pasoliniano).
Altro prezioso elemento di Pasolini – L’ultima verità è la fotografia. È lo stesso Bruno ad occuparsene, scegliendo un bianco e nero smagliante e raffinato, che oltre a ricreare quell’atmosfera d’epoca dona alla pellicola una qualità maggiore e limita i problemi di esser stato girato in video. Ma fulcro di questa opera è Alberto Testone, “attore borgataro” che somiglia in modo impressionante a Pasolini. Testone era stato già visto – e apprezzato – in Fatti corsari, che aveva co-diretto assieme a Stefano Petti. Pellicola che a sua volta era “pasoliniana” e d’indagine ma a livello antropologico. Però mentre in quel docu-fiction interpretava sporadicamente Pasolini, qui Alberto Testone non solo interpreta fisionomicamente lo scrittore/regista, ma riesce a farlo rivivere in modo impressionante anche attraverso gli atteggiamenti e la voce. Recitazione ancor più impressionante quando si pensa che Testone è un “attore di strada”, quindi pasoliniano nell’essenza. Ad esempio magnifiche le scene in cui Testone/Pasolini viene immortalato dalla macchina fotografica/mitraglia di Scifoni/Pedriali.
Poste in rilievo queste qualità, Pasolini – La verità nascosta non è una opera del tutto riuscita. In primis c’è la troppa aderenza alle confessioni di Pelosi, che “scagionano” un poco la sua figura ma gettano in cattiva luce i due massimi amici di Pasolini: Sergio Citti, che viene visto solo come un traffichino; Ninetto Davoli, descritto come un approfittatore. Suonano stonate anche le “ipotesi” riguardo il complotto per uccidere Pasolini (l’alto Prelato del Vaticano), oppure l’aver evitato completamente il Pasolini “notturno”, che se da un lato vuol essere un atto rispettoso verso la sua figura, d’altro è anche una mossa un poco oleografica (l’argomento non è sconcio in sé, ma è sconcio come viene trattato). Film d’inchiesta e, allo stesso tempo, pellicola di affettuoso omaggio. Certamente lontano dallo stile forte e arcigno di Rosi ma, almeno, lontano anche dagli omaggi cine-letterari di Aurelio Grimaldi.
Ultima annotazione, che scaturisce dopo la visione di questa pellicola e dalla figura di Pasolini, è l’esergo iniziale di questa recensione, che riporta tre versi di Una disperata vitalità, poesia contenuta nella raccolta Poesia in forma di rosa (Garzanti, Aprile 1964). Con queste tre righe Pasolini rimarcava la sua paura che quando sarebbe morto non sarebbe stato più compreso, di venir dimenticato. Fortunatamente questo suo timore non si è avverato, e molti suoi articoli ancora oggi sono fari intellettuali per comprendere il torvo potere marcio italiano. Il suo irrequieto lavoro artistico e battagliero, mostrato appunto nella pellicola di Bruno, è ancora vivo e forte.