Tutto può accadere a Broadway
Ritorna il maestro Peter Bogdanovich con una meravigliosa sophisticated comedy che guarda a Lubitsch dall'interno di traiettorie alleniane.
Nel mare di immagini che accompagna ogni esperienza festivaliera, la visione di un film come Tutto può accadere a Broadway (She’s Funny That Way) si pone come autentica boccata di ossigeno, irresistibile atto d’amore nei confronti del cinema e dell’arte della narrazione tout court.
A otto anni di distanza dal suo ultimo film, il gigante Peter Bogdanovich, l’uomo che ha respirato pellicole per tutta la vita, è tornato. E lo fa nel migliore dei modi possibili, regalandoci un piccolo grande gioiello di humour e garbo. La sua commedia sofisticata atterra in sala come un ufo fuori dal nostro tempo che conserva in sé il tocco di Lubitsch e la mano di Edwards, mentre guarda a Woody Allen con Billy Wilder e Howard Hawks nel cuore. Dirige con mano leggera una squadra di attori completamente perfetti, proietta lo sguardo verso la Hollywood classica, popolata di sogni romantici e cenerentole tenaci divenute squillo contemporanee. Riesce perfino nell’impresa più difficile: fermarsi miracolosamente a un passo prima della nostalgia, per regalarci così una vitalissima screwball comedy dal gusto squisitamente inattuale. Del resto, poteva farlo solo lui.
Tutto può accadere a Broadway è un’opera dal ritmo indiavolato, capace di scorrere senza alcun calo di tensione, come un perfetto e collaudato meccanismo a orologeria. Protagonista del film è Izzy (Imogen Poots), giovane prostituta che sogna di diventare un’attrice. Arnold (Owen Wilson) è un regista di Broadway che la aiuterà economicamente provando a dare una spinta alla sua carriera (seppur non sia esattamente il principe azzurro). Quest’incontro darà il via a un meccanismo involontario e catastrofico, che finirà per cambiare non solo le loro vite, ma anche quelle dei vari, eccentrici personaggi che li circondano.
C’è sempre un tornado in agguato, un twist pronto a capovolgere i ruoli e ad abbattersi sulla scena. Bogdanovich segue l’idea comica fondamentale per cui tutto ciò che non deve succedere succede. Parafrasando una massima sempre attuale nella drammaturgia comica, c’è sempre qualcuno che non dovrebbe entrare nella stanza ma che poi entra. E lo spettatore, in questa esilarante giostra tensionale, non può che divertirsi un mondo. Se inoltre è vero che ogni azione provoca delle conseguenze, ogni situazione di Tutto può accadere a Broadway è costruita attraverso un irresistibile effetto domino. L’unico verosimile che interessa a Bogdanovich è, come da manuale, quello interno al genere. Del resto siamo di fronte al classico che rifiuta di essere ibernato e museificato, perché mostra più intelligenza, acutezza e ironia della stragrande maggioranza delle commedie contemporanee. Sullo sfondo di una New York che sembra uscita da un film di settant’anni fa, Bogdanovich interna i suoi personaggi in camere d’albergo, teatri, corridoi, ascensori e appartamenti, li fa scontrare, ridere, litigare e perfino amare. Il palcoscenico della pièce cui prendono parte i protagonisti diviene allora teatro della vita dove esasperare le tensioni e inscenare i tradimenti: i sotterfugi sono in camera da letto, sul palco c’è posto solo per la verità.
E alla fine del film, mentre scorrono i titoli di coda, si ha la sensazione di aver appena assistito all’appassionante dichiarazione d’amore di chi, a settantacinque anni, crede ancora in quel folle e divertente sogno che è poi il cinema. Si potrebbe dire, in tre parole, The Bogdanovich touch.