Martin Eden
Il richiamo del mare. Il film di Pietro Marcello non tradisce il romanzo di Jack London ma lo porta a dialogo con l'attualità.
Non è Oakland, città della baia di San Francisco, ma Napoli e quello che vi è intorno. Un Novecento indefinito, confuso, quel secolo breve di guerre, grandi ideologie e dittature. Come nel romanzo di Jack London, Martin Eden però è marinaio in terra ferma, l’irrequieto donnaiolo che salva da un’aggressione un giovane borghese che gli consente l’accesso a un mondo a lui lontano. Così Martin entra nella casa della famiglia Orsini, subito accecato dal candore di Elena se ne innamora, un amore che non si ferma alla purezza di quel volto ma si trasforma in sete di conoscenza, per emanciparsi da quella che crede sia la gabbia dell’infelicità, l’ignoranza. Inizia la sua trasformazione, legge, accumula sapere, nozioni, implementa il suo vocabolario cercando di raggiungere l’altezza intellettuale della donna che ama. È quella wilderness tanto cara a London che Martin vuole sopprimere a favore di un linguaggio forbito, modi sofisticati e la cultura come emancipazione ma anche come mezzo di lotta, forse poi fallimentare. Da qui una delle prime ambiguità del nostro personaggio: il Martin rozzo ma genuino e poi lo scrittore di successo, solo, infelice e autodistruttivo. Perché una volta messosi sullo stesso livello di quella classe che dapprima invidiava, il protagonista inizia la sua discesa verso il vuoto, realizzando quella condizione di continuo fallimento a cui l’individuo è destinato. E mentre fuori scoppiano i fuochi del desiderio di rivoluzione, Martin ormai acuto osservatore di quel mondo tanto ingiusto, esprime il suo scetticismo verso l’utopia socialista, abbracciando l’individualismo che lo porterà alla sua feroce e romantica caduta. Sceglie l’intellettuale Briss come suo mentore, alter-ego e padre di questo giovane e impetuoso alieno.
Dal romanzo più autobiografico di Jack London, Pietro Marcello realizza un film di purificazione e decadenza, un film stratificato che, partendo dal romanzo, mette in campo l’attualità: i migranti, la precarietà del lavoro, tutto attraverso invasioni di situazioni o individui apparentemente in contrasto con il film, negli abiti, nelle automobili o negli scorci della città. E lo fa anche nella forma: la classicità hollywoodiana, le rotture europee degli anni ‘60, incursioni di immagini d’archivio, i quadri che raffigurano navi, ora in viaggio ora che affondano, e i falsi found footage familiari che ritornano per spezzare il blocco del protagonista nella sua graduale consunzione.
La bellezza non salverà il nostro eroe romantico, uomo appassionato che lentamente comprende quanto sia effimera l’essenza della vita, l’artista che ha fatto della sua poetica qualcosa che si muove tra l’utopia socialista e l’individualismo anarchico; è l’emblema di quella ambiguità che lo porta alla sua distruzione. Martin il puro, Eden il mostro. L’ignorante felice, l’intellettuale incontentabile. Il marinaio sognatore, lo scrittore disincantato.
Martin Eden è un film di rifiniture, ramificato, un’opera che si muove tra i dettagli per comporre la sua ambiziosa totalità. Bisogna incantarsi davanti al film di Pietro Marcello, perdersi e poi ricomporre tutti i particolari che il regista dissemina per andare oltre le pagine del romanzo di London. Un riadattamento che non tradisce l’intento del grande scrittore americano, pur diramando una serie di questioni che si affacciano sulla contemporaneità.
Ciò che più colpisce del protagonista è la sua ossessione per il richiamo, come se da malinconico sognatore (ruolo perfetto per Luca Marinelli), tendesse sempre a qualcosa che non può ottenere. Il suo slancio verso il nuovo, lo sconosciuto, l’infinito: ora per l’amore, ora per il sapere e per il mare. Quel mare in cui non lo vediamo mai navigare ma a cui rivendica con forza la sua appartenenza, «quello che avete davanti è un malandrino, un marinaio» dice dalla cattedra di un’università. Ormai deturpato anche fisicamente dal suo dolore, dalla sua infelicità, persino nella sua bellissima casa, nei suoi abiti da ricco intellettuale, Martin non riesce a ignorare quel richiamo, si promette di andare in America, la terra del sogno ma resta ancorato alla sua indole selvaggia. Seduto sulla spiaggia come in estasi, ritorna a quel candore iniziale, con gli occhi lucidi, forse cercando ancora l’ultimo bagliore di emozione che solo l’orizzonte può dargli. D’altronde, lui appartiene al mare.