Road 47
Un racconto bellico di grande portata umanista, che fa luce su un aspetto poco noto della nostra Liberazione mentre ci riporta alla mente la ''grande guerra'' monicelliana
L’aspetto forse più paradossale e perverso della guerra è la sua forza inerziale, la capacità che ha di rimanere viva e moltiplicarsi anche quando si tenta di uscirne, per fuggire, disertare o rincorrere un disperato tentativo di redenzione. Finché sei lì, all’interno del conflitto e nelle pieghe del suo territorio, ne resti parte attiva, che tu lo voglia o meno. Specie quando la guerra è un’invasione, un’occupazione territoriale che non lascia adito alla scelta. E’ così che gli oltre 25mila soldati brasiliani della Feb (Força Expedicionária Brasileira) spediti in Italia in piena guerra mondiale si ritrovano coinvolti in un conflitto divenuto il loro, chiamati a combattere assieme agli alleati sulla Linea Gotica, catapultati lungo un fronte in cui morte, resistenza e fuga si mescolano sotto una neve mai vista prima.
Risultato di una vasta co-produzione internazionale tra Italia, Portogallo e Brasile, esce in contemporanea al Settantesimo anniversario della Liberazione Road 47, un racconto bellico con cui Vicente Ferraz resuscita dalle pieghe della Storia la partecipazione al secondo conflitto mondiale delle forze militari brasiliane, truppe di giovani male addestrati inviati nell’inverno del Centro e del Nord Italia a combattere il nazi-fascismo.
Al centro del racconto troviamo quel che resta di una squadra di genieri, un gruppo di soldati allo sbando vicini alla diserzione completa. Al campo base del resto li hanno già dati per dispersi, nessuno sa dove siano e se siano ancora vivi. Sulla loro strada però compare un campo minato che blocca una strada strategica, una possibilità di riscatto che salverebbe un villaggio dai nazisti e renderebbe il loro girovagare fuggiasco e spaventato un improvviso atto di coraggio.
Pur raccontando un aspetto assai poco noto della nostra Liberazione, Road 47 è un film che si rende presto familiare, vicino. Saranno pure genieri brasiliani dispersi in un freddo brutale e inedito, ma nelle gesta di quest’armata brancaleone ritorna fortissimo il sapore del nostro cinema migliore, di quelle storie tutte italiane popolate da soliti ignoti imbrigliati loro malgrado nelle pieghe della guerra ma capaci di uscirne con coraggio ed eroismo. Lo schema monicelliano è arcinoto, collaudato e rodato tanto da farne un cliché, ma Vicente Ferraz ci mette troppa umanità per ridurre il suo Road 47 ad un esercizio di genere. Il suo è un film che fa incontrare fatti sconosciuti e personaggi familiari ma la sinestesia genera un racconto accorato e sincero, forse scolastico ma pulito e schietto nella sua retorica umanista, nella sua denuncia anti-bellica, nella sua istanza commemorativa.
Resta impresso e coinvolge il ritratto di questa squadra improvvisata, che incontra sulla sua strada altri personaggi allo sbando, ex repubblichini in fuga come il controverso ruolo di Sergio Rubini, e soldati tedeschi spenti e disperati, stanchi di una guerra che non ha senso combattere. Paradossalmente il nemico è scomparso in Road 47, o meglio ha assunto le forme della natura gelata e aggressiva e della guerra intesa come entità astratta, dovere e condanna che accomuna chiunque si trovi sulla Penisola, anche se nessuno vuole più combatterla. A dirlo ripetutamente è uno dei soldati della squadra, impegnato a scrivere un diario per il padre che lo ha voluto in battaglia, e la cui voce narrante si fa carico di trasmettere la frustrazione e la paura, ma anche il coraggio di fronte la possibilità di fare qualcosa di giusto. Una reminescenza malickiana che sembra arrivare da La sottile linea rossa, soluzione con cui Ferraz si prende i suoi rischi e che a volte rischia di appesantire il film. Meglio allora quando Road 47 si concentra sull’intimità del conflitto senza bisogno di parole, sul bianco abbacinante dei suoi paesaggi, su una natura montana bellissima e crudele, su una ricostruzione anzitutto umana delle parti in causa, intessendo un racconto bellico che sentiamo presto nostro, storicamente e cinematograficamente parlando.