The Rover

Western post-apocalittico, dopo l'ottimo Animal Kingdom il secondo film di David Michôd è una cocente delusione.

Era atteso da un po’ il nuovo film di David Michôd. Dopo l’esordio folgorante con Animal Kingdom (2010), in molti aspettavano una conferma sul talento del giovane regista australiano. Eppure guardando The Rover la delusione è tanta, per non parlare della noia che non si scolla di dosso per tutta la durata del film. Colpa di una sceneggiatura tirata all’osso, il cui limite è quello di non avere una storia da raccontare. Allora, gli elementi che compongono questa pellicola si contano sulle dita di una mano, e potremmo iniziare a catalogarli in un genere cinematografico, il post-apocalittico, che negli ultimi anni è divenuto il modello per eccellenza di una certa narrazione metaforica della decadenza dell’umano, frutto di una crisi profonda, non solo economica ma radicata nella soggettività contemporanea.

Questa volontà è dichiarata da subito in The Rover attraverso un cartello iniziale in cui viene segnalato allo spettatore che il film è ambientato dieci anni dopo “i fatti che hanno sconvolto il mondo”. Cosa sia successo non ci viene detto, e nel corso del film non ci sarà nessun indizio che potrebbe fornire un’idea. L’ipotesi, a questo punto, è che Michôd non sia in nessun modo interessato a dircelo, in quanto non è un dato necessario allo svolgimento del racconto. Nulla da obbiettare, ma soffermiamoci ancora un po’ su questo cartello poiché a mio avviso da esso si evince il vero limite di questa pellicola.

Innanzitutto, quando un film preferisce il testo all’immagine s’intuiscono immediatamente tutte le carenze dell’opera (produttive, narrative, stilistiche). Come accadeva nell’epoca del muto la funzione della didascalia era necessaria a colmare la mancanza della parola o di un apparato produttivo e tecnico ancora poco sviluppato. Così oggi, quando una sceneggiatura non è in grado di raccontare visivamente una storia, si affida ancora una volta alla didascalia primitiva, stratagemma cinematografico a buon mercato che non richiede nessun tipo di sforzo, né produttivo né intellettuale. La cosa sorprendente, nel film di Michôd, è che tale scelta è risolutiva per l’intera opera, poiché senza di esso sarebbe stato pressoché impossibile comprendere il contesto.

Se il tentativo del regista era quello di raccontarci una storia in un’epoca post-apocalittica, l’unico elemento che descrive tale conteso è appunto la didascalia iniziale. Per il resto, The Rover è ambientato nei deserti sconfinati dell’Austrialia, che rendono benissimo sul piano fotografico ma che di post-apocalittico non hanno assolutamente nulla. Possiamo osservare delle poche strutture dismesse che richiamano all’immaginario di un altro genere, il western, con abitazioni polverosi e abbandonati. Se il contesto scenografico e visivo è insufficiente, c’è da sperare per lo meno nella story-line dei personaggi. Ma anche in questo caso il film non è in grado di lasciare un segno.

L’idea su cui sembra sorreggersi The Rover - idealmente molto interessante - è che in un contesto post-apocalittico non può realizzarsi nessun tipo di Storia. L’esistenza dei pochi esseri umani rimasti in vita non ha più senso, il destino di tutti sembra ormai prossimo alla morte. L’unico ideale che li spinge a muoversi nel continente australiano è quello della sopravvivenza. Se non fosse che i due protagonisti del film, interpretati da Guy Pearce e Robert Pattinson, in questo mondo ormai in declino vogliono recuperare quel briciolo di umanità che è rimasto dentro di loro, e accomunati da questo desiderio comune percorrono insieme un viaggio tra i resti di un’umanità che non esiste più. Il primo deve recuperare assolutamente la macchina che gli è stata rubata, che contiene al suo interno qualcosa d’importante, il secondo è alla ricerca del fratello, appartenente al gruppo di persone che hanno rubato l’auto del compagno.

La risoluzione finale del film non produce nessun effetto, poiché anche se entrambi ritroveranno quel che cercavano, ciò che rimane allo spettatore è un film che parla del nulla e che non emoziona in nessun modo. Anche quando nel finale dell’opera scopriamo cosa c’era nel bagaglio dell’auto rubata: la carcassa di un cane, a cui si voleva dare solo una degna sepoltura. Nulla di più, nulla di meno.

Autore: Roberto Mazzarelli
Pubblicato il 10/12/2014

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