Lontano da qui
Remake dell'omonimo film israeliano, l'esordio di Sara Colangelo è un confronto diretto e convincente con i temi dell'infanzia e della poesia.
Lisa (Maggie Gyllenhaal) è una maestra d’asilo. Lisa ama la poesia, segue un corso di scrittura poetica, cerca di mantenersi ispirata per comporre versi che possano essere apprezzati dai compagni di classe e dal suo insegnante (Gael Garcia Bernal). Un giorno scopre che uno dei suoi allievi, Jimmy, sa comporre spontaneamente brevi poesie di profondità stupefacente per un bambino così piccolo. Colpita dal suo talento, Lisa sente l’urgenza di svilupparlo e proteggerlo dal mondo circostante, indifferente o preoccupato per un’abilità che considera invalidante. In una società che celebra l’impoverimento del linguaggio e della fantasia, incarnata dai figli col viso incollato ai propri cellulari, non c’è orecchio per la poesia.
Diretto da Sara Colangelo, Lontano da qui è il remake di The Kindergarten Teacher, film israeliano del 2014, e affronta due temi tanto celebrati nella forma quanto negletti nella pratica. Il nostro immaginario culturale assegna un valore importante ai concetti di poesia e infanzia: entrambe servono a mantenere uno spazio di innocenza spirituale, uno sguardo non irrigidito o schematizzato sulla realtà dove ci si lascia andare al flusso delle immagini senza pregiudizi. Il mondo è sempre cosa nuova per i poeti e i bambini, ogni oggetto deve essere nominato per la prima volta, le parole non sono ancora consumate dall’abitudine.
Questa dimensione del vivere è affine al carattere di Lisa, che persegue un’esistenza più intensa dove le parole creano esperienze emotive e le immagini stimolano il linguaggio. Ma il mondo va da un’altra parte. Il dono di Jimmy però è troppo prezioso per accettare di vederlo soffocato, pertanto la donna si dedica prima a lezioni private e non richieste di “apertura mentale” verso la realtà, forzando lo sguardo del bambino a cercare immagini inedite del mondo; poi, in una progressiva crociata contro l’altrui disinteresse, lo sequestra e lo porta a recitare le proprie poesie davanti a un pubblico adulto.
È interessante il fatto che Lontano da qui non solo mantenga il carattere urtante e morboso della sua protagonista così com’era descritta nella versione originale, ma che addirittura lo esasperi. Lisa è fastidiosa nel ricercare continuamente il bambino, e ridicola nella sua pretesa di infliggere lezioni di poesia al bambino quando nei fatti è lui quello capace di comporre versi significativi; la sua visione poetica si fonda su un concetto di bellezza piuttosto scontato. Ciò nonostante le persone che la circondano sanno essere ben più feroci nella loro noncuranza. Nella società del piacere immediato, dove è incessante la ricerca di nuove consolazioni per le proprie miserie, un bambino che parli di Dio e della morte è individuo insensato che si condanna a una vita di infelicità; giacché dedicarsi a dipanare il filo complesso delle cose richiede un sistema di pensiero talvolta doloroso per chi lo adopera. È dunque preferibile un linguaggio semplificato, che restringa le maglie della mente allorché non fuoriescano dettagli disorientanti. Il padre di Jimmy lo spiega bene a Lisa: non vuole che il figlio diventi una di quelle persone che combinano poco nella vita.
Lontano da qui si mantiene all’altezza della complessità dei suoi temi, evita i facili stereotipi e indugia nello sfumare i personaggi senza assegnare ruoli positivi o negativi. Lisa ricerca nella sua vita e nelle persone un’intensità ideale e poco definita, e il suo scarso talento artistico è in fondo figlio di una parziale miopia spirituale. Forse è lei a non vedere davvero i figli che considera inaccessibili e vuoti; forse è solo una grande appassionata d’arte che vuol sentir riconosciuta la propria sensibilità. Jimmy invece non cerca approvazione, non reagisce con particolare entusiasmo alle lezioni poetiche della maestra, ma la segue pacatamente nelle sue iniziative sempre più esagerate senza esprimere giudizi. Difficile capire se egli sia più vittima di una società distratta o di un’autoproclamatesi eroina che vuol crescere un’anima infantile come un fiore in serra. Certo è che il film della Colangelo riconferma la poesia come ideale paradossale entro un mondo che insegue la bellezza ma non vuole confrontarsi con le responsabilità che questa pretende. Un verso può commuovere se possiede il sapore disarmante di ciò che è antico ma inedito per chi lo legge: bisogna saper essere vulnerabili per accettare senza difese le immagini che la vita ci offre.