Old
"Il cinema è la morte al lavoro sul corpo degli attori", ovvero un film magnifico e terrorizzante sul tempo come fine ma anche guarigione.
Quanti timer ci sono nel nostro corpo, quanti processi in via di attivazione? Old, nuovo film di un regista che mai delude e che sempre, passo dopo passo, continua a lavorare sul potere primordiale della paura, sulla forza catartica di un terrore che fa strada al cambiamento, al confronto col dolore, in un cinema che sceglie personaggi danneggiati, feriti, alterati, trovando nel trauma la gemma della loro umanità, Old, dicevamo, è tra i più angoscianti del lotto servito da M. Night Shyamalan, un meccanismo magnifico di tensione e orrore che rivolta il fumetto di Pierre Oscar Lévy e Frederik Peeters ricavandone uno slasher in cui il tempo è l’assassino e le sue armi sono già dentro di noi, in attesa di attivarsi, di crescere, di rompersi. Corpo e mente sono una costellazione di ordigni sepolti, cronometri virtuali come una demenza senile aggressiva o promesse materiche e dense nella forma di un tumore che cresce nella pancia. Già The Visit, in modo intelligente e decisamente spaventoso, lavorava sul terrore suscitato dalla vecchiaia, sul disgusto e il panico innescati dal contatto con chi vede il proprio corpo venir meno sotto i colpi del tempo che scorre. Di questo spunto Old è il rilancio in abisso, un’accelerazione selvaggia che angoscia nel ricordarci il confronto collettivo, assoluto, con il tempo e la mortalità.
Ma se quello di Shyamalan è un cinema della catarsi, è perfettamente coerente che il tempo non sia solo l’insorgere della malattia ma anche il chiudersi delle ferite, il cicatrizzarsi istantaneo del corpo, il guarire. Lo scorrere incrementato del tempo nella spiaggia di Old è un meccanismo assassino, avversario, ma anche l’occasione per toccare con mano il suo potere lenitivo, il processo germinale in cui tagli e fratture, ma via via anche traumi, errori, rimpianti, perdono peso e si relativizzano, affinché legami e sensazioni fondanti restino, mentre tutto il resto decade. Shyamalan inizia mettendo in scena la paura di tutti per la malattia e la mortalità, ma finisce mostrando il premio alla fine della corsa, che non è il terrore della solitudine e del dolore ma il conforto e l’abbraccio dell’altro. Dall’horror al melò, nel tipico viaggio eroico che sempre scandisce questo cinema umano come pochi.
Lavorando su questa ambivalenza, Shyamalan costruisce un kammerspiel immerso nella natura, una prigionia buñueliana (L’angelo sterminatore) in cui lo spazio della spiaggia diventa un luogo altro, oltre la soglia, dove le leggi fisiche vengono riscritte e i personaggi sono costretti a confrontarsi con ciò che più li spaventa. Ma esiste ancora un fuori, e lì, nascosto, c’è qualcuno che osserva: figlio di Hitchcock, Shyamalan interpreta il custode della spiaggia, colui che conduce i personaggi nella loro glass box e li studia, spiandoli, come un James Stewart armato di teleobiettivo. Perché per Shyamalan il cinema è sempre anche una riflessione sul campo del visibile, un’orchestrazione di punti di vista e percezioni mediate; perché il cinema è sempre, anche, «la morte al lavoro sul corpo degli attori», il mezzo che meglio di tutti cattura il tempo, mostrandone, per definizione, lo scorrere. In questo senso Old è una macchina di iper-cinema, un meccanismo di accelerazione che ci ricorda quanto della vita e del suo farsi possiamo trovare sullo schermo, quanto forte sia, ancora oggi, in piena era digitale e para-virtuale, il potere dell’immagine come traccia.
Se il tempo è un concetto ambivalente così è anche il cinema di Shyamalan, teorico e comunque umano, e poco importa che la coerenza possa portare a pochi passi falsi (in questo caso il debole plot twist finale, ma dopo le chiusure, magnifiche, di The Visit, Split e Glass, possiamo davvero lamentarci?). Old è comunque un grande film, una riflessione potente sul cinema e lo sguardo come agenti temporali, istanze trasformative, e assieme una rappresentazione agghiacciante di paure profonde, ancestrali. Il tutto guidato da un’anima melodrammatica che si cura delle relazioni tra i personaggi, dei loro bagagli e percorsi emotivi, in corsa verso la risoluzione, il perdono, la comunione degli affetti. C’è tutta la vita che corre, in Old, e le due facce del tempo, tra lo sfaldarsi di carne e mente e la forza cicatrizzante del sentimento.