Disobedience

di Sebastián Lelio

Nel suo primo film hollywoodiano, Sebastián Lelio porta la sua riflessione sulla dialettica tra libertà individuale ed imposizioni sociali nel contesto di una piccola comunità di ebrei ortodossi.

disobedience - recensione film sebastian lelio

Se obbedire è ciecamente assecondare la volontà altrui, subire le scelte piuttosto che agirle, recintandosi al di qua delle aspettative degli altri e mai al di là, disobbedire è un coraggioso atto di autodeterminazione, la massima espressione del libero arbitrio che Dio stesso ci ha concesso per distinguerci dalle bestie. Nell’indipendenza che ogni atto di disobbedienza porta con sé, l’uomo trova così la sua libertà ma anche il suo fardello. È questo il tema – il libero arbitrio come munifico e doloroso dono divino, attorno al quale l’uomo ordisce l’intrico della sua esistenza – del sermone che apre Disobedience, primo film hollywoodiano di Sebastián Lelio, regista cileno tra i più affermati e membro della factory del connazionale Pablo Larraín (già produttore del suo precedente lavoro, Una donna fantastica, opera acclamata e premiata con l’Oscar al miglior film straniero).

Questo inizio didattico assume sin da subito uno statuto speciale, sia per la posizione strategica in capo alla narrazione, sia per quella solennità propria da monito testamentario di cui viene rivestito. L’orazione infatti si rivela essere l’ultima compiuta da Rav Krushka, il rabbino capo di una piccola comunità londinese di ebrei ortodossi che stroncato improvvisamente da un malore sotto gli occhi impotenti dei fedeli cui si rivolge – e, specialmente, del giovane Dovid Kuperman (Alessandro Nivola), figlio spirituale del Rav e suo aspirante successore.
La disobbedienza cui fanno riferimento l’ultima predica del rabbino e il titolo stesso dell’opera è ciò che ha permesso a Ronit Krushka (Rachel Weisz, anche produttrice del film), fotografa omosessuale, di sfuggire agli egoistici desiderata paterni e alle ottuse aspettative della congregazione per vivere la propria vita a New York in una sorta di ostracismo tanto volontario quanto necessario. L’obbedienza invece è ciò che ha tenuta incatenata Esti (Rachel McAdams), sua amata, alla comunità di origine e al ruolo che da lei ci si attendeva. Quello di una donna dall’esistenza esclusivamente votata all’esaudimento del volere altrui, dell'Onnipotente, dei rabbini, del marito sposato (che in questo caso è proprio Dovid, con cui entrambe, sia Esti che Ronit, sono cresciute).

Sono donne oppresse, Esti e Ronit, come Naomi Alderman, autrice del libro omonimo da cui è tratto il film di Lelio, o Esty Weinstein, scrittrice cresciuta in una comunità Haredim (una forma di ebraismo ultraortodosso) e artefice di un libro-testamento intitolato esattamente Esaudisco il suo volere, lasciato alle stampe poco prima di togliersi la vita. Donne costrette a sfornare figli per formare le famiglie numerose prescritte dalla Torah, a sedersi in separata sede nelle sinagoghe (a dividerle dagli uomini è il mechitza, un separatorio già previsto dal Talmud babilonese), a sottrarsi dal contatto con il sesso opposto e al contempo ad assolvere doveri sessuali rigidamente programmati. Costrette, insomma, ad essere completamente subordinate agli uomini.

Lelio restituisce questo senso di oppressione filmando la claustrofobia delle case e lavorando sapientemente sulla mimica e sui corpi, prima di lasciare esplodere la passione amorosa, riaccesasi tra le due donne al rientro di Ronit a Londra per i funerali del padre, tra i vicoli che si snodano, ricchi di euforica sensualità, fuori dal quartiere ebraico. Lasciando spazio al godimento dell’amplesso senza morbosità né voyeurismi tipici del male gaze.
Se in Una donna fantastica è il trans Marina ad assumere il fardello della libertà e della lotta per il riconoscimento della propria identità, anche sessuale, in Disobedience è Ronit a portare avanti con più decisione l’istanza di emancipazione. Eppure non c’è condanna né giudizio nella costruzione filmica del regista cileno: Lelio fa di Dovid un personaggio complesso e sfaccettato, capace di una reale evoluzione che rende la sua fede più saggia e vera, mentre Ronit è una moderna Antigone pronta a sfidare le assurde costrizioni della legge, senza violenza ma con la semplice volontà di assecondare la propria natura e di vivere il proprio amore. Perché in un mondo che fa dell’obbedienza al potere una condizione necessaria al mantenimento dello status quo, la disobbedienza, da Prometeo a Siddharta, da Ghandi a don Lorenzo Milani, non è che uno splendido atto d’amore.

Autore: Domenico Saracino
Pubblicato il 09/11/2018
USA, Regno Unito, Irlanda 2017
Durata: 114 minuti

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