Smetto quando voglio

Citando a memoria: “Voi state troppo in fissa per ‘sti film americani, eh?”.

Questa è una battuta apparentemente poco importante, pronunciata da Libero De Rienzo (rivolta ad una coppia di nerboruti sgherri malavitosi poco prima di essere pestato a sangue) che invece si rivela emblematica per raccontare ed analizzare Smetto quando voglio. L’esordio del giovane e promettente Sydney Sibilia riunisce in se tutte le caratteristiche di un tipico prodotto gravido di urgenza espressiva. La battuta di cui sopra è fondamentale perché rappresenta il perno autoironico attorno a cui ruota l’intera operazione: un calderone citazionista, un “pastiche con le pasticche” in cui tutti i riferimenti stilistici e narrativi cari al regista e agli sceneggiatori sono goliardicamente sbattuti in faccia allo spettatore, senza nessuna pretesa se non quella di intrattenere. Intrattenimento si, ma attento alla forma – dalla fotografia ipersaturata al profilmico – come sempre dovrebbe essere. La leggerezza e lo spirito goliardico con cui i materiali vengono saccheggiati, rimescolati e cuciti assieme è il vero punto di forza del film, che anziché tentare la facile via della commedia a sfondo sociale dissolve ben presto ogni furbo j’accuse in un ora e mezza di coloratissimi eccessi.

Breaking Bad, Oceans’Eleven, I soliti ignoti, La banda degli onesti sono solo i più evidenti modelli tra le molte fonti di ispirazione di Sibilia, ed è divertente notare come gli stilemi della migliore commedia italiana (quella dolce-amara degli anni ’60) possano sposarsi, senza troppi sforzi, con quelli della commedia statunitense degli ultimi anni, più spensierata e meno greve, poiché ibridata con il caper movie, con i modi dell’action e del noir. Come in ogni commedia che si rispetti, non possono mancare dei validi attori per valorizzare una sceneggiatura che, per quanto sulla carta possa essere divertente, senza il giusto cast non sarebbe stata esaltata a dovere. La scalcinata banda di ricercatori-spacciatori è capitanata dall’ottimo Edoardo Leo, particolarmente abile nel saper gestire con misura e credibilità registri quasi perennemente sopra le righe pur senza risultare stucchevole. In linea con la commedia tragicomica italiana dei sessanta, anche in questo caso il cast è composto prevalentemente da caratteristi (Aprea, Calabresi e Sermonti particolarmente cari al pubblico grazie alla serie Boris) che pur calandosi in panni improbabili riescono agilmente a governare una sceneggiatura perennemente sull’orlo della parodia. Non superare quel orlo ripido è stato il vero successo di Sibilia & co.

Più che soffermarmi sulle innumerevoli implicazioni politiche o sociali che animano Smetto quando voglio e fungono da base e sottotesto al film (ma sul serio siamo così anziani da pensare che un opera engagé sia artisticamente più meritevole di una che non lo è?) preferiamo concentrarci sul tentativo di Sibilia di realizzare un’opera prima formalmente curata, sicuramente non priva di imperfezioni ma certamente anche fresca, gioiosamente caotica ed anarchica. Un plauso, in fine, va anche al comparto produttivo, che fa capo al sempre curioso Domenico Procacci a cui si affianca Matteo Rovere, regista e produttore particolarmente attento alle novità che animano il web e a cui molto probabilmente dobbiamo la gustosa partecipazione dei The Pills al film.

Autore: Tommaso Di Giulio
Pubblicato il 16/08/2014

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