Speciale Oriente #9 / Mrs. Fang
Un intimo documento sul lento svanire della vita.
Signora Fang a cosa sta pensando? I suoi occhi ancora riescono a vedere? E le voci dei figli? Forse parlano di continuo, a lei non è mai piaciuta la confusione. Le stanno troppo vicino.
Ma sono preoccupati, è da un po’ ormai che sta così, sdraiata sul letto di questa casina disadorna, la bocca sempre un po’ aperta, lo sguardo nel vuoto. Qualche sussulto, le braccia fanno leggeri movimenti e i tuoi cari controllano se è ancora sveglia.
Wang Bing accompagna l’ultimo periodo di una malata terminale, una donna colpita da Alzheimer, condannata all’immobilità, all’assenza. Vincitore del Pardo d’Oro al Festival di Locarno 2017, il regista questa volta filma la soglia, perché Mrs. Fang è quasi un fantasma, ormai una creatura che sta sul confine tra la vita e la morte, forse incosciente eppure fisicamente ancora lì.
L’autore cinese cattura di nuovo la solitudine, ancora una volta ne racconta un’altra sfaccettatura, dopo Feng Ai (‘Til Madness do us apart) in cui osservava un manicomio nella sua terribile quotidianità, Le tre sorelle, meravigliosa e sconvolgente fiaba triste (la cui versione breve si intitola appunto Alone), Wang Bing documenta quello che sembrerebbe un momento di passaggio.
Mrs. Fang trascorre il suo ultimo periodo di vita in una casa molto piccola, forse di una stanza, circondata dai suoi familiari che vegliano quell’agonia e attendono la morte. Agli occhi di un occidentale colpiscono molto le loro conversazioni, con naturalezza si parla di come verrà seppellita, si scherza mentre ci si accerta che sia ancora viva: la vita continua a scorrere con tutte le sue banalità e abitudini, le dita e gli occhi sullo smartphone . La tragedia è lontana dagli orientali che concepiscono il dolore in forme differenti. Wang Bing insiste sul volto della donna malata, su quegli occhi che sembrano non vedere più, indugia sui particolari senza voler però infondere pietà, i primi piani sono immagini lancinanti, ne sentiamo il vuoto e percepiamo quel varco che il regista vuole filmare.
Signora Fang, dov’è in questo momento?
Quegli occhi forse stanno guardando solo dei puntini luminosi? Lucciole nel buio.
Lo sguardo di Wang bing è discreto, il regista ha infatti girato questo film con personaggi seguiti per altri lavori, Mrs. Fang è un’opera che si è costruita in una circostanza non programmata e filmare la morte diventa il momento per filmare una nuova solitudine. Non c’è la Cina e suoi cambiamenti (o sì?), si tratta di una questione privata. Il mondo esterno fa delle piccole incursioni solo per ricordarci che l’ordinaria esistenza non cessa di incombere, con i suoi fastidiosi rumori, le distratte conversazioni quotidiane, il lavoro, la vita magnificamente monotona di un piccolo villaggio.
Signora Fang cosa le mancherà di tutto questo?
Wang Bing non si pone come giudice, probabilmente non capiremo mai, da occidentali, il modo in cui la famiglia resta vicino al proprio caro che sta per morire, cosa è giusto fare, dire, come comportarsi di fronte alla morte. Anche se in uno spazio angusto, dove altro non vediamo che un corpo che sta lasciando questo mondo, il fuori campo però resta sempre, inevitabilmente la vita.
Spazzarle via
e poi non spazzar più
le foglie cadute
(Taigi)
C’è un’oscura e straripante forza vitale nel filmare la morte: gli ultimi respiri, gli affanni, il dolore, l’agonia, la potenza di quei rimasugli di esistenza. Mrs. Fang come La mort de Louis XIV - il primo una tela sontuosa su un “Dio”, il secondo uno spaccato dell’esistenza degli ultimi - documenta l’estasi, l’attraversamento, il viaggio verso l’ignoto, tra le pieghe di lenzuola rosse o sotto il peso di una semplice coperta a righe.
Signora Fang, salutaci il sole.