Take Five
Tra Monicelli e Tarantino la coppia che ci ha regalato Là-bas – Educazione criminale tenta un'incursione poco riuscita nel pulp partenopeo
Presentato in concorso all’ultimo Festival di Roma, Take Five conferma l’importanza raggiunta dalla realtà partenopea Figli del Bronx, che negli ultimi anni si è affermata a colpi di film come una delle case di produzione più vive e necessarie nel panoramico cinematografico italiano. Tra le opere filmate dalla squadra di Di Vaio una delle più valide fu Là-bas – Educazione criminale, brillante esordio di Guido Lombardi costruito tra fiction e documentario. Presentato a Venezia nel 2011 – da cui tornò forte di due premi, seppur collaterali – quel film porta a guardare con molta curiosità a questo Take Five, seconda collaborazione tra Lombardi e il produttore napoletano. Da queste aspettative però si esce un poco delusi dalla visione del film, conviti di non aver affatto assistito a quanto di meglio i due autori siano capaci di mettere in campo.
In quanto prodotto di genere atto a riadattare stilemi internazionali in un contesto tutto italiano, Take Five è un film più che benvenuto, che guarda a linguaggi sovra-nazionali riuscendo al contempo a sfruttare una regionalità non macchiettista. La direzione è quella giusta insomma, il lavoro su un pulp-noir dal sapore americano ma ricontestualizzato con pertinenza e onestà. Gli intenti però non bastano a far funzionare il film, minato anzitutto da una regia poco personale nel suo eccessivo ricalco delle soluzioni comunemente associate al genere scelto, ma soprattutto da una scrittura davvero troppo ingenua, anche qui attenta ai canoni già stabiliti ma incapace di esserne all’altezza. Con una partenza alla I soliti ignoti e un finale stile Le iene, Take Five lavora nel segno del pulp, imbastendo una storia criminale dai continui risvolti comici che non escludono però improvvise esplosioni di violenza. La vicenda ruota attorno al piano di cinque improbabili criminali: un gangster depresso famoso come Showman, un fotografo pacchiano reduce da un infarto, un idraulico con il vizio del gioco, un giovane pugile squalificato a vita e un ricettatore, interpretato dallo stesso Di Vaio, ad assemblare e dirigere la squadra. L’obiettivo, il caveau di una grossa banca, svaligiabile con facilità grazie ad un fortuito guasto dell’impianto fognario.
A metà tra scuola monicelliana e caper movie anglosassone alla Guy Ritchie, Take Five raccoglie una squadra di protagonisti grotteschi altamente improbabili nel ruolo di professionisti del crimine, ben interpretati dai rispettivi attori ma penalizzati da una scrittura poco attenta a valorizzarne le peculiarità. C’è poco interesse nella loro umanità e troppo nell’imbastitura di forme che siano il più possibile riconoscibili da un pubblico di fatto hollywoodiano come il nostro. Lombardi, che firma anche la sceneggiatura, segue la strategia tarantiniana di escludere dal quadro la rapina (accennata comunque con improbabile superficialità) per concentrarsi invece sull’attesa che ne segue, chiudendo gran parte dei personaggi nel ristretto spazio di un appartamento in attesa di un confronto che tarda ad arrivare. Per quanto derivativa la scelta resta coraggiosa ma segna le sorti del film, che nella parte centrale cade in grandi problemi di ritmo e verosimiglianza dai quali riesce ad uscire a stento solo nel finale, comunque forzato nel suo programmatico citazionismo. Per questo Take Five ci sembra in fin dei conti un film poco riuscito, non solo derivativo ma troppo incentrato nella ripresentazione di elementi già formalizzati. L’impressione finale è che ad aver penalizzato il lavoro sia stata la scelta di portare il racconto criminale nel territorio della commedia, genere che i due autori non riescono a padroneggiare a dovere e che li obbliga ad un derivazionismo decisamente oltre il livello di guardia.