Ted 2
Tra gag e apoteosi nerd, MacFarlane riporta sullo schermo lo sboccato orsacchiotto con trovate e tempi comici impeccabili, ma a sorpendere è il suo cuore filosofico-esistenziale
L’orsetto di peluche troppo adulto e l’uomo che non voleva crescere. Era sul tema abbastanza abusato degli “eterni” ragazzini alimentati dalla cultura pop, divenuti trentenni alla stregua del loro amico/eroe immaginario, che Ted – spregiudicato e sopra le righe – poggiava la sua classica favoletta di fantasia deviata però da quelle contaminazioni e sperimentazioni da piccolo schermo spesso associate al Saturday Night Live. Per Seth MacFarlane la commedia è nella polpa e il resto è pura spina dorsale, e anche quando l’asse del film muta (con interessanti virate nerd-friendly) ciò che traspare è comunque tutto il repertorio del filone d’oro del cinema comico americano degli ultimi 15 anni. Il politicamente scorretto che travalica i confini di Hollywood, sorvola la vena intimista da comedy indie alla Judd Apatow ed infine plana sul puro slapstick e l’ultra citazionista: alla coppia di ’rimbombamici’ erotomani e alcolizzati del primo capitolo, il creatore dei Griffin preferisce ora virare sul terreno del surreale, dosando in modo complesso quanto molto elementare un umorismo dai tempi e dalle idee folgoranti. Un bel concentrato di satira tagliente dove la stupidità è perciò contagiosa, francamente evidente, e come nei cartoni animati tv sono i singoli episodi o le uscite balorde a dare senso al progetto. Perchè John e Ted sono il logico proseguimento dei Clerks di Kevin Smith, pronti ad aderire al tipico cinismo e alle volgarità con cui MacFarlane si è imposto fin dagli esordi al grande pubblico: fregandosene di tutto e regalandoci personaggi cult che, probabilmente, ci accompagneranno ancora per molti lustri a venire.
In Ted 2 non manca davvero nulla, tanto che niente sfugge alla sua ironia, nè l’11 settembre nè Charlie Hebdo, non c’è tabù o presa di posizione politica che regga. Ogni attualità più scabrosa (la “sentita” morale americana verso i diritti umani) è messa sotto torchio dalle affilatissime armi comiche che inevitabilmente generano gag su gag, azioni sgangherate ed esplosioni improvvise, salti nel vuoto e bersagli ’chiave’ come le celebrità mondiali dello show biz (da Kim Kardashian a Samuel L. Jackson fino all’esilarante siparietto tra Ted e Liam Neeson alla cassa di un supermercato). D’altronde era impensabile riproporre la vincente formula orsetto-marijuana-humor, così MacFarlane alza il tiro e pone questioni giuridiche ancor prima che filosofiche di notevole spessore: Ted, lo si può considerare una persona o un bene oggettivo? E cosa rende tali gli esseri umani? Se l’esito (adeguatamente scemo) sarà piuttosto banale, da che mondo è mondo il cinema ha sempre proposto icone ribelli tutte «sesso, droga e rock ’n roll», ma qui siamo finalmente oltre, per qualità del messaggio e location da Comic-Con newyorchese che fanno della parodia la rappresentazione più verosimile del pubblico contemporaneo. Bravissimo a indirizzare la risata dello spettatore, il teddy bear odierno diviene allora un autentico protagonista e non più un’allegoria legata al solo contorno dell’infanzia. E accanto a lui sembrano divertirsi tutti, soprattutto Mark Whalberg che stavolta si rivela una ’spalla’ a dir poco perfetta, a cui si aggiunge l’avvocato Amanda Seyfried che non può (naturalmente) resistere ai magici fumi di canne e bong. Nel mezzo la presenza/assenza, la forza della voce/doppiaggio (fatta, in versione originale, dallo stesso regista) che amplifica le situazioni più esilaranti anche laddove il prevedibile sembra dietro l’angolo; mentre un tempismo impeccabile ribalta il nostro pronostico e continua a sorprendere scena dopo scena.
Un risultato bizzarro e al pari di altri recenti alfieri del demenziale (i cosiddetti Frat Pack come Ben Stiller, Seth Rogen, Owen Wilson), pertanto condito da lezioni sull’uguaglianza quasi a voler demolire i molti altarini della società americana. La potenza della critica è però mitigata dalla verve di Ted e dal suo rifiuto al conformismo, qualità che già travolgevano nel disinibito predecessore – tra battutacce e cattiverie gratuite – e che in Ted 2 vivono di molti più momenti, magari intinti nell’amaro sapore del già visto eppure capaci di vette comiche davvero ineguagliabili. Benchè non tutte le citazioni si integrino nella narrazione, la predilezione per gli anni ’80 e ’90 segna un ulteriore cambio di timbro registico (che scala un immaginario di riporto e motore di un’intera industria), senza risparmiare quell’universo dei fumetti che faranno la gioia di nerd e cosplayer. Ma oltre la comicità da grana grossa, goliardica e trionfante di doppi sensi e fluidi corporali, MacFarlane crede più di tutti nella verità di quell’invenzione scenica, del personaggio-animato con cuore in CIG per (ri)creare la formula preistorica del circo: insomma, l’effetto speciale a costo zero. E volendo esser fedele al proprio registro demenziale, ecco l’immancabile citazionismo cinefilo fare a pezzi il Sogno Americano: evocando il ventre flaccido (anzi extra-large) di un paese grottesco, accanito fumatore di erba a scopo terapeutico. Un uragano pop rivolto alla cultura popolare, che si rifugia nell’usato garantito e sazia il suo target privilegiato con un’aggressività sempre più rara nello star system hollywoodiano.