The Conspiracy, mockumentary canadese firmato da Christopher MacBride, alla sua opera prima, apre la sezione After Hours del XXXI Torino Film Festival: carrellata presente ogni anno, sotto diverse nomenclature, dedicata ai titoli più oscuri o bizzarri, spesso “di genere”, a tutto quel cinema che, in un modo o nell’altro, si pone al di fuori delle convenzioni. La pellicola di MacBride non è freschissima di produzione, in quanto è targata 2012 e circola da tempo, ma si rivela scelta azzeccata: utilizza l’ormai rischioso formato del finto documentario in modo originale, e pone l’accento su un tema-magnete per lo spettatore, ossia le teorie cospirazioniste. The Conspiracy è, in realtà, diviso in due parti: nella prima, si gioca sul mockumentary puro, con una struttura a incastri, mentre nella seconda, ossia andando verso il finale, si assiste al cuore del film, il suo lato migliore, con una virata orrorifico-ritualistica decisamente riuscita e che non si dimentica facilmente, forte di elementi simbolici che riescono a creare un connubio visivo/sonoro di impatto, ad alto tasso di tensione.
Aaron (Aaron Poole) e Jim (James Gilbert), sono due filmmakers che scelgono, come soggetto per il loro documentario, un uomo apparentemente folle, Terrance G, che per strada divulga le sue teorie sulla cospirazione. Nel corso delle riprese le sue idee, i paranoici concetti che espone davanti all’occhio della videocamera, influenzano Aaron, che inizia a crederci un po’ troppo, distaccandosi dalla realtà: dunque, ecco l’effetto virale di questo tipo di convinzioni/ossessioni, che colpiscono molte più persone (soprattutto negli USA) di quanto si sia disposti a credere. Terrance scompare all’improvviso, e i due documentaristi si accorgono di essere pedinati: iniziano dunque a pensare che dietro agli apparenti deliri, possa esserci qualcosa di vero. Si arriva così al turning point del film, al suo segmento più bizzarro e peculiare: Aaron e Jim, tramite una serie di contatti, si infiltrano in una cerimonia segreta di un gruppo di cospiratori, e qui l’abilità di MacBride emerge sotto diversi aspetti. Le riprese diventano in soggettiva, i membri indossano inquietanti maschere zoomorfe (non si può fare a meno di pensare a The Wicker Man, ma l’insieme rimanda a più di un titolo), in un’atmosfera pagana che sfiora il satanico, all’interno di un rituale dedicato al Dio Mitra. Cupa e tesissima, la tranche finale tiene lo spettatore incollato allo schermo, rendendo l’intero film meritevole di visione. Tuttavia, anche il coté mockumentary si lascia apprezzare, con le finte interviste, materiale di repertorio collocato al punto giusto e correttamente contestualizzato, oltre a molteplici riferimenti al Nuovo Ordine Mondiale, che è una delle teorie di cospirazione tra le più diffuse e inquietanti. Nella marmaglia di opere del filone, è diventato sempre più difficile realizzare qualcosa che riesca ad emergere dal mucchio, con una certa cura dal punto di vista tecnico (si evita l’effetto mal di mare) e una recitazione al di sopra delle media di questo tipo di produzioni.
The Conspiracy non è soltato ben girato e costruito con intelligenza, ma è soprattutto ideato in modo efficace, senza eccessi inutili o tempi morti, un meccanismo ben oleato in cui i giusti dosaggi degli ingredienti sono il segreto di una ricetta dal buon sapore. L’ossessione, la follia, il dubbio, si mescolano al macabro rituale che è al tempo stesso pregno di una strana solennità, una sinistra importanza: tutto questo rende il film una spanna sopra gli altri fake documentaries, senza contare la riflessione, mai banale, sul potere dell’autosuggestione e della paranoia. Esordio riuscito per il regista canadese, che riesce a toccare nervi scoperti, dapprima a livello collettivo, per poi addentrarsi in quello individuale. È probabile che non esista nessun Nuovo Ordine Mondiale, ma quel che è certo, è che milioni di persone continueranno, fermamente, a crederci.